Premessa
Quale resilienza, quale trasformazione del trauma è possibile quando esso sembra invisibile o - per dirlo più precisamente - ha il buon sapore di una famiglia compatta, fusa, inclusiva? Cresce il bisogno di appartenenza a un universo protettivo che però isola il soggetto a venire - il figlio - all’interno di un cerchio magico che ne fa un prigioniero, il più delle volte consenziente. Il genitore, piuttosto che educare all’apertura verso un mondo incerto e insegnare al figlio a superare le paure, si trova ad assicurargli la vita e, in questa clausura protetta, trasmette più un tipo di amore dipendente e pauroso piuttosto che il coraggio e il rischio di una vita autonoma. Il circolo vizioso che si instaura è quello che intreccia la costrizione occulta del genitore (per il bene del figlio, s’intende) all’universo protetto di casa e il consenso inconscio del figlio, secondo il classico meccanismo che definisce la dipendenza affettiva. Questa è la famiglia claustrofilica: scambi, affetto, amore, sostegno, confidenze, compagnia, educazione, viaggi, svago, tutto si fa in questa famiglia all inclusive. Il mondo è risucchiato all’interno e l’orizzonte di tutti si è ristretto in un assetto famigliare nemico del collettivo perché lavoro di civiltà e chiusura sono antitetitici. Chiave di volta della famiglia claustrofilica, ciò su cui si regge, è il nuovo modello della funzione genitoriale che ho definito il Plusmaterno.