IL PITTORE PIÙ AVVENTUROSO
DEL SETTECENTO

Giacomo Antonio Melchiorre Ceruti nasce il 3 ottobre 1698 a Milano, nella parrocchia di San Pietro in Campo Lodigiano.

Roberta D’Adda

Nel 1711, quando Giacomo ha tredici anni, la sua famiglia – composta dal padre Carlo Giuseppe, dalla madre Giovanna Antonia, da un fratello e da quattro sorelline – si trasferisce a Brescia, nella parrocchia di Sant’Agata. Le ragioni di questo primo soggiorno nella città governata al tempo da Venezia non sono note: si deve supporre che la famiglia avesse qui legami di un certo peso, visto che – a quanto risulta – sarà proprio a Brescia che Ceruti muoverà i primi passi come pittore: qui si tratterrà a lungo nei decenni successivi e, soprattutto, in più di un’occasione viene menzionato come «bresciano» in opere e documenti. Lui stesso, del resto, si firma «brixiensis» nel siglare la sua ultima opera nota, un ritratto di religioso eseguito nel giugno 1767(1).

La famiglia è nuovamente attestata a Milano nel 1716 e qui, nel 1717, all’età di diciotto anni, Giacomo prende in moglie Angiola Caterina Carrozza, più anziana di lui di oltre dieci anni. In quello stesso anno nasce il loro primo figlio, che – come altri dopo di lui – muore prematuramente: di fatto, l’artista non avrà eredi e nel suo testamento lascerà i suoi beni a un giovane orfano, Giacomo Emilio Vimercati, da lui adottato.

Nel 1721 la coppia risulta risiedere a Brescia, dove Giacomo avvia la sua attività di pittore. Nulla si sa della sua formazione, anche se è ragionevole supporre che questa si sia svolta a Milano e che il suo non sia stato un apprendistato tradizionale, in grado di fornire gli strumenti adeguati per il disegno e la composizione di quadri di storia, né tanto meno modelli aggiornati da imitare in quel campo. Le sue prime pitture di soggetto sacro, datate 1723, lo mostrano infatti molto impacciato, sicuramente meno brillante di quanto si riveli, in quegli stessi anni, nei ritratti e nelle scene di genere. Si può quindi supporre che la sua formazione sia avvenuta a contatto con qualche pittore specializzato in tali generi, come per esempio il ritrattista Antonio Lucini, documentato nel capoluogo lombardo dal 1702 al 1741(2).

Nel periodo bresciano, che si protrae fino al 1733, Ceruti si afferma presso la committenza locale, tanto privata quanto pubblica. Dipinge infatti per il podestà di Brescia Andrea Memmo un perduto ciclo destinato al broletto(3) e si specializza, come accennato, nel ritratto e nella scena di genere di soggetto pauperista. Tra i nomi dei suoi committenti figurano alcune delle più illustri famiglie della città – gli Avogadro, i Fenaroli, i Lechi, i Barbisoni – e della Val Camonica, per la quale realizza anche pale d’altare e quadri di storia sacra(4). I quadri di mendicanti, portaroli, ciabattini, figure umili intente in attività semplici e ordinarie gli meriteranno il soprannome di Pitocchetto (da “pitocco”, che significa mendicante): un nomignolo la cui origine ancora non è chiara e le cui attestazioni, a quanto risulta riscontrabili solo a partire dall’inizio del Novecento, affondano forse le radici in una tradizione rimasta viva proprio a Brescia e non ancora rintracciata.



Autoritratto in veste di pellegrino (1737); Abano Terme (Padova), Museo villa Bassi Rathgeb.


Natura morta con cacciagione e aragosta (1736 circa); Kassel, Staatliche Kunstsammlungen.