L’INCONTRO
CON I MEDICI

Il Lippi aveva condotto a termine gli affreschi nel duomo di Prato con le Storie dei santi Stefano e Giovanni Battista nel 1464 e, dopo aver tenuto bottega per altri tre anni nella cittadina toscana, si era trasferito nella primavera del 1467 a Spoleto, portandosi dietro l’amico e discepolo Fra’ Diamante e il figlio Filippino, che già lo avevano assistito nel ciclo pratese.

Venute meno le ragioni della sua presenza al fianco del maestro, il Botticelli dovette immediatamente rientrare a Firenze, dove risulta infatti nuovamente registrato nel novero delle «bocche» a carico del padre in una denunzia del 1470. In quello stesso anno, tuttavia, il suo nome ricorre fra quelli degli artisti titolari di bottega in un elenco compilato dal cronista Benedetto Dei nel proprio libro delle Ricordanze. La circostanza autorizza a ritenere che, alla data dello scritto, la reputazione del giovane maestro fosse già piuttosto alta. La constatazione è confermata dall’allogazione, nell’agosto dello stesso anno, di una grande spalliera allegorica per il Tribunale di Mercanzia: la prima impegnativa commissione pubblica affidata al Botticelli.

Il pannello doveva inserirsi in una serie di sette, raffiguranti le Virtù teologali e cardinali (Fede, Speranza, Carità, Fortezza, Giustizia, Prudenza e Temperanza), originariamente commissionate a Piero del Pollaiolo e destinate alla decorazione dei seggi della sala dove i Sei di mercanzia sedevano in udienza(2). Apparentemente, la mancata consegna dei soggetti nei tempi stabiliti dal contratto (due per ogni trimestre di lavoro, con decorrenza dal primo gennaio 1470) aveva permesso a Tommaso Soderini, uno dei sei giudici, di impugnare i termini dell’accordo con il Pollaiolo (17 maggio 1470) e di trasferire al Botticelli parte dell’ordinativo: il 18 giugno 1470 il Tribunale decideva di corrispondere al nuovo arrivato 40 fiorini larghi per la coppia di sua spettanza (lo stesso prezzo che era stato pattuito con Piero) e il 18 agosto dello stesso anno versava all’artista metà della cifra per la realizzazione del primo pannello, quello della Fortezza, che oggi è conservato agli Uffizi.

Nello schema presentato dal Pollaiolo e approvato dai Sei, la tavola, di perimetro rettangolare ma tagliata a ogiva nel quarto superiore, era stata ideata per fingere al proprio interno un trono nicchiato a edicola: una specie di scranno marmoreo sormontato da un baldacchino di complicato disegno, rialzato da una pedana e sorretto ai lati da peducci intagliati. All’interno dell’incavo prospettico avrebbe dovuto sedere la Virtù, ritratta frontalmente e in atto di mostrare o porgere gli attributi che la contrassegnano, rigidamente uniformata alle compagne di fila allineate sulla spalliera figurata.

Il Botticelli accoglie lo schema nelle sue linee generali, ma imposta l’immagine in modo completamente diverso. In luogo della macchinosa struttura progettata da Piero, concepisce il trono come un’architettura viva, animata dai guizzi dei montanti laterali, sviluppati in due curve di segno opposto, conclusi in basso dalla fitta decorazione a riccioli delle mensole di sostegno. L’austero coronamento del modello si trasforma in una vivace arcata, fregiata frontalmente da un motivo scolpito a occhielli e rivestita internamente di specchi marmorei; sulle imposte d’arco e sulla cuspide sottili cespi d’acanto danno vita a delicate invenzioni lineari, che riflettono con il loro scintillio più rado lo splendore dei cristalli e dei marmi sottilmente lavorati e resi come trasparenti alla luce.



Adorazione dei magi (1475), particolare; Firenze, Galleria degli Uffizi. L’uomo sulla destra è lo stesso Botticelli; sopra di lui, probabilmente, Lorenzo Tornabuoni; al centro, con la barba, Giovanni Argiropulo; l’uomo anziano in alto è il committente Guaspare del Lama.