La felice posizione dell’area padana la rende un crocevia del ritratto cinquecentesco; gli artisti della zona esprimono un realismo insito nelle proprie radici culturali, fondendolo con influssi tecnici e compositivi provenienti dal Nord Europa, con le psicologie di Antonello da Messina e Leonardo, con il colore veneziano. Un crogiolo che porterà a esiti differenti tra loro ma tutti di assoluta qualità.
Negli anni d’oro, quelli del soggiorno bergamasco (1513-1525), Lorenzo Lotto raggiunge una sintesi tra realismo anti-idealizzante e un’acuta, moderna, introspezione psicologica; nel Ritratto di Lucina Brembati consegna l’identità dell’effigiata a uno dei suoi suggestivi “rebus”, celando il nome nella falce di luna contenente le lettere C ed I (“Lu-cina”) e il cognome nello stemma Brembati presente nell’anello portato all’indice della mano sinistra. La capigliara, la pelliccia di martora o zibellino e l’amuleto che porta al collo (già ritenuto una sorta di stuzzicadenti ante litteram) sono indice del lignaggio aristocratico della protagonista.
A Brescia anche le prove di Romanino, Moretto e Savoldo sono influenzate dalle pitture del Nord Europa e dai maestri veneziani (Giorgione, Lotto e Tiziano), con le vette, entrambe verso il 1540, del
Giovane flautista di Savoldo e del Fortunato Martinengo Cesaresco del Moretto.
Mentre Romanino evolve da una giovinezza “veneta” improntata su modelli giorgionesco-düreriani verso un meditato realismo di stampo lottesco, l’“exploit” ritrattistico di Savoldo vede un giovane enigmatico, col volto in penombra, sospeso nel lirismo dell’atmosfera musicale.
Ancora una volta si avverte la matrice di Giorgione nell’importante estrazione sociale del protagonista (esemplificato dalla pesante pelliccia esibita in primo piano) e nel clima malinconico acuito dalla lama di luce che, da sinistra verso destra, taglia la scena irradiando il musicista: un espediente compositivo che anticipa il Suonatore di liuto di Caravaggio all’Ermitage.
Alessandro Bonvicino detto il Moretto (maestro di un ritrattista di punta come Moroni) ha nell’effigie assorta di Fortunato Martinengo Cesaresco – immortalato nella posa iconografica della malinconia che arriva dritta, alla fine dell’Ottocento, fino al Ritratto del dottor Gachet di Van Gogh – un simbolo “romantico” che, più che alla tradizione realistica lombarda, si rivolge ai sentimenti di Lorenzo Lotto, con una punta di aulicità tizianesca nel drappo damascato sul fondo, nel cappello piumato, nel robone riccamente foderato da una pelliccia d’ermellino.
