NATURALISMO
LA SCOPERTA DELLA REALTË

Nell’ultima stagione di quello che viene chiamato Gotico internazionale, agli inizi del XV secolo, nelle tavole dipinte, nelle miniature e nella scultura si iniziano a trovare con frequenza dettagli realistici, tracce evidenti di un’attenzione e di un atteggiamento nuovi nei confronti del mondo visibile, magari in contesti ancora pienamente “gotici”.

La Toscana e l’area borgognona-fiamminga furono le prime ad avviarsi su questa strada. In Toscana lo strumento ideale di accesso al mondo reale sarà individuato nel primo Quattrocento nella prospettiva lineare, nelle Fiandre invece la rappresentazione del mondo sensibile passerà per la costruzione di uno spazio reso unitario dalla diffusione della luce.

La prima strada faceva appello alla concezione di un ordine razionale della natura, che andava compresa e riorganizzata attraverso una ridefinizione geometrica e volumetrica dei rapporti spaziali; l’altra procedeva su un percorso più empirico e sensibile agli effetti illusionistici, alla ricerca di una credibile rappresentazione della densità atmosferica, degli aspetti superficiali della materia, degli effetti di luce e di ombra che l’occhio percepisce nella sua esperienza quotidiana. Due impostazioni diverse che avrebbero portato a esiti differenti, ma con un comune obiettivo di rappresentazione artistica, nell’ambito di quello che oggi chiamiamo naturalismo. Fu in quel periodo che, in Europa, iniziò l’avventura dell’arte come rappresentazione del reale: all’arte veniva affidato un compito che si sarebbe attuato lungo un percorso destinato ad arrivare fino alle avanguardie del Novecento.

Un comune obiettivo, dicevamo, e più condiviso di quanto a volte si pensa. Perché in Europa il linguaggio artistico ai primi del Quattrocento era già cosmopolita e transnazionale, grazie alla “portabilità” di altaroli, taccuini, codici miniati, arazzi (ma anche avori, e oreficerie) e a mediatori attivi negli scambi come Claus Sluter, Melchior Broederlam, Lorenzo Monaco, Gentile da Fabriano, Pisanello, il Maestro delle Ore Boucicaut, e i fratelli Limbourg, con i loro dettagli naturalistici inseriti in contesti spesso fiabeschi e a volte spazialmente improbabili. Una vicenda in cui va sottolineata la centralità del libro: mai come in questa straordinaria stagione creativa ogni ipotetica distinzione di rango o di ruolo fra pittore e miniatore cade e perde ogni senso logico.

Miniatore era il Maestro delle Ore Boucicaut (attivo a Parigi nel primo quarto del XV secolo ma probabilmente originario di Bruges, da alcuni identificato in Jacques Coene) il quale, nel volume miniato che, in mancanza di dati anagrafici più precisi, gli presta il nome (le Heures du Maréchal de Boucicaut, 1410-1415), presenta alcune scene in cui l’evento sacro, in primo piano, è realizzato secondo stilemi tradizionali, mentre nei fondali di contesto l’attenzione dell’artista per la realtà che lo circonda si fa evidente: pastori, paesani, pescatori, greggi, abitazioni rivelano una assoluta libertà creativa.