forse la madre Anna e la nipotina Annie Haden, un dipinto, come gli altri che verranno subito dopo, in cui
l’artista venuto dal Nuovo Continente lancia il guanto di sfida ai due più avanzati esponenti della nascente avanguardia francese, Degas e Manet,
incontrando assieme a loro il rifiuto del gusto dominante, fino a dover esporre dipinti del genere, nel 1863, nel famoso Salon des Refusés, accanto
alla tela storica di Manet, Le déjeuner sur l’herbe. Senza bisogno dell’apporto di questi suoi due straordinari coetanei, al pari di loro, e
forse ancor più di loro, Whistler sa comporre “per il lungo”, in sequenza orizzontale, sottolineata dall’abile sfruttamento del motivo delle cornici
di quadri alle pareti, che sono come dei tiralinee, delle asticelle di sbarramento per impedire che la vista si prolunghi troppo a distanza e si
faccia troppo descrittiva. L’attenzione si concentra sui due personaggi, schiacciati a loro volta contro la parete, in modo da stendere le loro
silhouette, come sforbiciate con mano sicura, e campite con stesure essenziali, l’una in nero, l’altra in bianco, a ricordo della già acquisita
sapienza nell’incisione, ma con una colorazione leggera e aerea diffusa attorno alle due “macchie”. Si sa bene che lo scandalo con cui allora quei
dipinti furono accolti fu soprattutto di natura mentale, in quanto venivano offese le sacre regole della prospettiva. Si doveva constatare che artisti
nostrani, partoriti entro le sacre terre dell’ Occidente, osavano impostare le loro figure “à plat”, traendo senza dubbio qualche suggerimento dalle
allora diffuse stampe giapponesi. Ma vedremo, sarà proprio Whistler a ricavarne il maggior impulso, più moderato nei suoi due comprimari. Seguiamo
comunque questa pista primaria, produttrice di una serie di capolavori. Forse il dipinto più ricco e complesso è Armonia in verde e rosa: la
Stanza della musica (1860-1861, Washington, Smithsonian Institution, Freer Gallery of Art), dove domina la sagoma della figura sforbiciata in nero,
mentre la fanciulla in bianco le si stringe a lato, senza però affondare in profondità. E a complicare la scena si affaccia pure una terza presenza
sulla destra, anch’essa schiacciata come una figurina da attaccare a un album. Da notare anche la vistosa presenza di elementi decorativi, i tendaggi,
che allora entravano senza dubbio nell’ambito di un interno di agio borghese, ma che a livello compositivo servono all’artista per ripartire i settori
della sua narrazione, accentuando il trasferimento di tutto il discorso sui primi piani. Nello stesso tempo la preziosa apparizione di motivi floreali
su quelle stoffe costituisce già una piena rispondenza al gusto estremo-orientale, ovvero il nostro James sta bruciando i tempi, come neppure gli
straordinari compagni di ardimento Degas e Manet osano fare, egli sta diventando un “japonard” in anticipo sul “Nabi” Pierre Bonnard, e in genere su
tutto il clima simbolista a venire. E compare pure un altro elemento decisivo, l’accento posto sull’“ armonia”, che è una nuova sconfitta nei riguardi
del realismo mimetico tipico della nostra tradizione occidentale, che ama la precisione, il trionfo del visivo su altri sensi, a cominciare da quello
dell’udito. Anche per questo verso il nostro James marcia in avanti, anticipa il poeta Verlaine, nato un decennio dopo, col suo precetto che inviterà
a fare “de la musique avant toute chose”, della musica prima di tutto. Per un poeta, un precetto del genere potrebbe anche apparire ovvio, mentre per
un pittore è eversivo, anche se poi prontamente l’artista rientra nell’ambito delle sensazioni pittoriche “sposando” al valore musicale un complemento
cromatico. Qui si parla di un verde e rosa, ma anche in seguito questa sarà una costante in tutti gli altri dipinti usciti dalle mani di Whistler,
quasi una sua firma, a conferma di quanto siano per lui inevitabili questi complementi cromatici, incaricati di alleggerire la descrizione, di
renderla quasi solubile, aerea.

