e soprattutto come scultore in «marmore, bronzo e terra» (facendo allusione all’erezione di un grande monumento equestre a Francesco Sforza, padre del Moro), la scena artistica era orientata, come abbiamo visto, su scelte e gusti profondamente alieni ai suoi. Basti prendere a esempio quella che con ogni probabilità è la sua prima opera realizzata per la corte milanese: la Vergine delle rocce ora a Parigi. Eseguita, come ha ben argomentato Alessandro Ballarin, per la cappella del palazzo ducale, San Gottardo in Corte, è la somma di tutto quello che l’oramai trentenne artista toscano aveva appreso nella Firenze di Verrocchio e dei miracoli ottici del Trittico Portinari di Hugo van der Goes. Una visione rivoluzionaria: un quasi-notturno per nulla classicheggiante e in cui la natura e i suoi umori sono assoluti protagonisti. Alcuni dettagli, come le piante in primo piano, raggiungono una precisione botanica e ottica cristallina, paragonabile a quella che sarà raggiunta dagli specialisti olandesi di natura morta due secoli dopo. L’intersecarsi dei gesti e delle pose, finalizzato a distinguere i caratteri e i ruoli dei personaggi e ad arricchire il sottile filo narrativo, è altamente sofisticato, e ribadisce quanto Leonardo aveva già sperimentato nella non finita Adorazione dei magi oggi agli Uffizi. Delle importanti opere di artisti lombardi che abbiamo appena visto, seppur posteriori alla pala di Leonardo, nessuna sembra restituirne il benché minimo riflesso. Bisognerà aspettare la fine del decennio perché qualcosa negli animi si smuova.
Non si sa da quando Leonardo abbia costituito una bottega a Milano. Ciò che è certo, e lo si sa da alcuni appunti di sua mano, è che nel 1490 e nel 1491 un certo «Jachomo» aveva rubato in ben due occasioni un «graffio d’argento» prima a «Marco» e poi a «Giannantonio». Si tratta con ogni probabilità di alcuni dei principali protagonisti di quella «tanta adulescentium turba» che, stando a Paolo Giovio, affollava la vita milanese di Leonardo: il «ladro, bugiardo, ostinato, ghiotto» Gian Giacomo Caprotti da Oreno, detto Salaì (da un diavolo del Morgante di Luigi Pulci, un poema di grande successo in quegli anni), preso in “adozione” proprio nel 1490, quando aveva dieci anni, ma soprattutto Marco d’Oggiono e Giovanni Antonio Boltraffio. Come vedremo, è soprattutto attraverso la mediazione dei suoi allievi lombardi che Leonardo e gli artisti locali potranno intraprendere un dialogo altrimenti impensabile. Non irrilevante è che la loro prima menzione sia collegata con l’uso della punta d’argento, una tecnica disegnativa che ha caratterizzato quasi un decennio dell’attività milanese di Leonardo, e che è stata “resuscitata” in città proprio grazie all’intensa «pratica» (Vasari) nella sua bottega.
Boltraffio, che probabilmente proveniva da un’agiata famiglia milanese, era nato intorno al 1467, come si desume dalla sua lapide sepolcrale già in San Paolo in Compito e oggi conservata nel lapidario del Castello sforzesco. Il suo dipinto più antico, la Madonna della rosa del Museo Poldi Pezzoli, databile nella seconda metà degli anni Ottanta, denuncia già una completa immersione nei dettami leonardeschi e un’assoluta assenza di elementi che definiremmo lombardi. Nell’“aristocratica” Madonna di Boltraffio i gesti sono calcolati e concatenati tra loro: il Bambino sul parapetto, seduto in equilibrio precario sul piede destro, si protende pericolosamente verso la rosa; il moto fa sì che la Madonna, prudentemente, lo trattenga stringendo una fascia che gli cinge il petto. Nonostante la madre osservi benevola il movimento del figlio, con la mano libera riesce, nello stesso momento, ad afferrare - senza guardarlo - uno stelo di crocifera che spunta da un vaso posto sul parapetto. Questo alto grado di calcolo delle pose e dei movimenti incrociati, assolutamente inedito per un pittore milanese, ha spinto Bernard Berenson a pensare che per questa Madonna Boltraffio fosse risalito a una «early idea of Leonardo’s». Leonardo evidentemente mette a disposizione di Boltraffio il bagaglio di idee che aveva elaborato negli ultimi anni fiorentini, ma anche nei primi tempi milanesi. Alle spalle di questa Madonna dal collo lungo di Boltraffio sembra esserci una serie di bellissimi schizzi a penna elaborati da Leonardo quando era ancora a Firenze, ma anche naturalmente la versione parigina della Vergine delle rocce discussa prima e il Ritratto di Cecilia Gallerani (universalmente nota come La dama con l’ermellino), eseguito intorno al 1486.