nel 1941, questa Natura morta di Morlotti si aggiudica uno dei dieci premi di secondo grado, corrispondenti a 5.000 lire, alla terza edizione del Premio Bergamo. Presentato dall’artista al concorso insieme ad altre due opere, un nudo e una seconda natura morta, il dipinto arriva a Torino, come acquisto, nel 1957. Giovanni Testori, nel 1952, ne scrive in questi termini: «Vi si leggeva un amore non retorico, per qualcosa che, in quel relitto, malgrado tutto, continuava a persistere, e una spinta (certo non ancora cosciente) a cavar da quella solitudine […] un simbolo». Tale lettura permette di comprendere il carattere particolare dell’adesione di Morlotti al gruppo di Corrente, dato che la sua produzione d’allora si allontana dai modi più marcatamente espressionisti degli altri esponenti del movimento, per avviare invece una riflessione sulle potenzialità espressive dell’oggetto, in questo caso un frammento scultoreo, in chiave si direbbe già quasi esistenzialista. Il dipinto presentato a Bergamo fa parte di una serie di nature morte, realizzate a partire dal 1940, in cui la composizione rivela una chiara ascendenza morandiana e suggestioni metafisiche; ma l’intensa matericità del colore, volutamente mantenuto sobrio e abbassato, rimanda a istanze differenti, soprattutto legate alla riflessione sull’opera di Picasso. In particolare, la Natura morta qui proposta, con la presenza del gesso raffigurante una testa di bue, sembra anticipare l’esito pienamente picassiano della Natura morta con bucranio del 1943. Il dipinto riconduce a un’immagine tragica del reale attraverso la decontestualizzazione di un banale oggetto di studio, un gesso d’accademia, che da silente frammento di realtà diviene simbolo e sorta di estrema testimonianza di una civiltà in pezzi di fronte ai disastri della guerra.
Silvia VaccaBibliografia
“Giornale di Sicilia” 1941; Premio Bergamo 1941, p. 40, n. 70; Testori 1952, p. 21; Rebesco 1986, p. 44, n. 42; Galmozzi 1989, p. 102; Gli anni del Premio Bergamo 1993, p. 187, n. 103; Documenti del Premio Bergamo 1993, p. 264; Tassi-Pirovano 1993, p. 49, tav. 15.
