7.12 GIOVANNI COLACICCHI

(ANAGNI 1900-FIRENZE 1992) Fine d’estate 1932 olio su tela; cm 162 x 201 firmato e datato in basso, verso destra «G. Colacicchi 1932» Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti, inv. Giornale 5562

la grande tela eseguita ad Anagni nell’estate del 1932, ed esposta per la prima volta in una personale alla Sala d’Arte de “La Nazione” nel gennaio successivo, è il risultato di un complesso intreccio di pensieri e incontri risalenti alla formazione umanistica dell’artista cui si era unita a Firenze la scoperta del Quattrocento. Un mondo di forme e di immagini corrispondenti ad altrettanti valori spirituali che il giovane avrebbe fatto propri secondo la visione che l’Ottocento - in particolare germanico - ne aveva dato, opponendoli come sogno esistenziale ed estetico al dilagante materialismo. Il linguaggio figurativo che in Fine d’estate trova così la sua più fervida formulazione, ha alle spalle le pagine de La nascita della tragedia e le immaginazioni dei Deutsche Römer, i cui echi Colacicchi aveva potuto ancora avvertire nello studio di Francesco Franchetti, il raffinato pittore di cultura tosco-romana di cui fu allievo per qualche tempo, e che lo accompagnerà a Napoli per vedere gli affreschi di Hans von Marées; ma si nutre anche della forte impressione ricevuta nel 1923 dall’incontro con un de Chirico ormai «romantico» - quello dell’Autoritratto col Mercurio, visto sul cavalletto, nella casa di Giorgio Castelfranco insieme a La partenza del cavaliere errante -; e non è estraneo ai richiami dell’eredità visiva di Adolf Hildebrand, la cui casa custodita dalla figlia Elisabeth, avrebbe cominciato a frequentare dal 1927. Pur concepito con la struttura di un fregio e il tono di un inno, il dipinto, realizzato nel periodo di crisi seguito al suicidio di Franchetti, partecipa di un’inquietudine tutta moderna. Se infatti l’allusione ai “neofiti” di Masaccio e di Piero, che affiora dai nudi dei giovani, vale a renderne più pura la bellezza, il contrasto con le forze della natura cui allude il temporale incombente, immette nella libera gioia dell’insieme, resa quasi sonora dalla sfrenata corsa dei cavalli bradi, un ungarettiano «sentimento del tempo», in sintonia con i contemporanei esiti della Scuola romana.

Susanna Ragionieri

Bibliografia
Vittorini 1933; Del Bravo 1981, p. 39, fig. 15; Ragionieri 1999, p. 107, fig. 108.