7.11 ANTONIO MARAINi

(ROMA 1886-FIRENZE 1963) Ricordo di Atene (Ionica, Dorica, Corinzia) 1932 marmo pentelico; cm 183 x 65 x 11 firmata e datata a destra, sul basamento di Corinzia «Antonio Maraini 1932»
Firenze, Banca CR Firenze

Esposta alla Biennale del 1932, l’opera, in forma di lapide, fu eseguita adoperando un blocco di marmo pentelico che l’artista aveva fatto venire appositamente dalla Grecia dopo un viaggio in cui aveva voluto visitare di persona i luoghi sacri allo spirito occidentale. Il doppio titolo con il quale è conosciuta, indica già i caratteri duplici e correlati che essa sottintende; l’uno stilistico, espresso attraverso il riferimento ai tre ordini architettonici ed al loro modellarsi sulle proporzioni del corpo umano, secondo un principio di cui si riconosce il valore armonico, propositivo e moderno; l’altro umano ed estetico, identificato in una Grecia sentita come emblema e modello di bellezza e di libertà. Giunto all’arte per vocazione dopo una laurea in giurisprudenza, Maraini si era formato a Roma, dove aveva frequentato gli studi di Giulio Bargellini e Giovanni Prini, e perfezionato il proprio tirocinio «con una vera e propria esperienza di bottega, lavorando a lungo, come aiuto, con Angelo Zanelli», al tempo in cui quest’ultimo eseguiva i bassorilievi per l’Altare della Patria (Antonio, Fosco e Grato Maraini 2008, p. 24). La scelta di intraprendere la carriera di scultore e la decisione di trasferirsi a Firenze, in entrambe delle quali avevano avuto un ruolo importante l’incontro e poi il matrimonio con la scrittrice inglese Yoï Crosse Pawlowski (Bardazzi 2011, p. 8), appaiono strettamente legate e conseguenti al valore di modello che Maraini riconosceva alla città: «Firenze sola vi darà con la magia pura delle linee, degli squadrati volumi, delle proporzioni nel ritmo e nella prospettiva, il vero senso dell’architettura in sé e per sé: rapporto esatto dal finito all’infinito» (Maraini 1928, p. 15). Questo medesimo equilibrio, nutrito delle teorie sulla pura visibilità di Adolf Hildebrand che egli stesso aveva contribuito a diffondere con gli articoli su “La Ronda” del 1923, Maraini lo avrebbe ricercato per la propria scultura, abbandonando i residui di stilismi déco per giungere, in parallelo a Libero Andreotti, a una forma dal respiro ampio e lirico.
Susanna Ragionieri

Bibliografia
Biennale 1932, p. 111, n. 31; Del Bravo 1981, p. 39, fig. 14; Bardazzi 1984, pp. 38-39; Antonio, Fosco e Grato Maraini 2008, pp. 64-65.