firenze, Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, Fondazione Archivio Storico, invv. 60, 61 «Toscano di ceppo umanista, cioè un uomo “etico”», come egli stesso si definisce (Fortuna 1982, p. 17), Baccio Maria Bacci non aveva avuto paura di sperimentare linguaggi diversi fin da quando, agli inizi del secolo, era fuggito a Monaco per affermare la propria volontà di essere pittore, o ancora quando, dopo il soggiorno parigino del 1913, aveva vissuto una convinta fase futurista. Così non stupisce, nei bozzetti per Volo di notte, eseguiti per il Maggio Musicale del 1940, la decisa virata in senso modernista, compiuta dopo un decennio di opere dal taglio solenne, volte a rintracciare quel filo che unisce fra loro le differenti gravità di Giotto e Masaccio, di Caravaggio e Vermeer, di Courbet e Fattori. Complice la musica dell’amico Dallapiccola e la riduzione operata da quest’ultimo sul racconto di Saint’Exupéry, della moderna odissea e tragedia del pilota Fabién, l’artista riesce a creare una scena capace di trasmettere la convinzione dallapiccoliana che le conquiste della tecnica non abbiano ucciso affatto la poesia, aprendo piuttosto a nuove circostanze e forme del suo manifestarsi (Dallapiccola 1942, p. 15). L’ambientazione ha luogo nella sala di controllo della Compagnia di Navigazione Aerea, nei due momenti della sera e della notte, che delimitano lo spazio temporale di svolgimento del dramma. Un’alta, sottile vetrata razionalista, permette una comunicazione quasi totale fra interno e esterno, facilitando la suggestione di un’unità di luogo, insieme reale, messa in campo dalla musica, ed evocativa, fra il radiotelegrafista ed i piloti lontani che eseguono come corrieri, per portare a destinazione le merci nel minor tempo possibile, i voli notturni. E quando il pilota Fabién smarrisce la propria rotta, consumando il prezioso carburante, il radiotelegrafista, «come l’antico Nunzio della tragedia greca, diviene il nuovo sacerdote di una tragedia moderna» (Gavazzeni 1954, p. 235), nella quale la solitudine di un uomo che comprende di essere condannato a morire, diventa il simbolo universale della fragilità e della precarietà della condizione moderna.
Susanna RagionieriBibliografia
Visualità del Maggio 1979, p. 30, nn. 60-61; Monti 1985, p. 36; Ragionieri 2001, pp. 173-174, fig. p. 191; Bucci 2010, pp. 272-273, 275, nn. 1162-1163.