IL DESIGN E LE ARTI APPLICATE 

Nel campo delle applicazioni della ricerca “pura” sulla forma e sui linguaggi dell’arte, la specifica novità degli anni Trenta in Italia è costituita dalla generalizzazione del principio di riproducibilità delle cose, nel quadro di una società ormai di massa e pronta a trasformarsi in una società di “consumatori”: di idee, immagini, oggetti. Tale riproducibilità - attraverso processi di meccanizzazione industriale della produzione - si riverbera sulla forma delle cose prodotte, determinando una nuova estetica, un nuovo stile. Il confronto tra oggetti e spazi architettonici progettati per la Triennale del 1933 e per quella del 1936 è indicativo: nella prima, la Mostra dell’abitazione propone tipologie estremamente eleganti ed esclusive, pur d’inclinazione già esplicitamente “moderna” e razionalista, mentre nel 1936 - accanto al permanente piacere del pezzo unico, almeno nella Mostra dell’arredamento - emerge un’idea di serialità e standardizzazione, in realtà ormai affermata e praticata, contraddistinta da una progettazione di spazi e complementi d’arredo teoricamente destinati a un impiego diffuso, se non già di massa. Tutti i giovani architetti sono coinvolti nel progetto di arredo poiché, come scrive Persico nel 1932, «l’arredamento è architettura»: talvolta una pura necessità, in mancanza di commissioni più importanti, ma soprattutto una scelta carica di risvolti “morali”, tesa a migliorare in chiave moderna comportamenti e stili di vita. Lo stesso Persico già nel 1930, in un articolo per “La Casa Bella”, sostiene che l’«apparizione serrata e prepotente» dei mobili in ferro rappresenta «il fatto più importante della decorazione degli ultimi anni», 158 ai quali ha imposto «uno stile insolito e originalissimo». Tale nuovo stile si trova applicato nella tipologia della sedia “tubolare” in metallo e legno (anche compensato): la sua evoluzione - dalla SIAM di Pagano alle seggioline di Terragni per i bambini dell’asilo Sant’Elia di Como, passando attraverso i modelli di Pica e Mucchi - mostra, insieme all’esempio delle lampade, a cominciare dalle Luminator, come la tendenza fosse di dialogare con spazi della vita quotidiana funzionali, razionali, senza orpelli, specchio di quell’idea di vita e comportamento sachlich - oggettivo, dinamico, efficiente - che dalla Germania degli anni Venti si era irradiata in tutta Europa e oltre. Accanto alle forme di più radicale razionalizzazione degli oggetti d’uso, sussiste naturalmente un’ampia casistica di manufatti riconducibili a un’area a cavallo tra invenzione artistica e serialità, qui rappresentata dalle tipologie dei vasi (di Andlovitz, Gariboldi, Ponti, Torlasco) e delle ceramiche (di Andlovitz, Fancello, Fontana, Mazzotti, Ponti): i primi, anche usati con funzione propagandistica, come nel caso della Coppa per i Littoriali dello Sport, tendono di più alla riproducibilità, mentre le seconde sono per lo più dei pezzi unici, destinati a un consumo dichiaratamente di lusso. Ma la rappresentazione più efficace e diretta dei nuovi stili, alti e bassi, popolari e borghesi, ma anche trasversali e senza distinzioni di classe, si trova nel cinema, principale strumento davvero potente della comunicazione di massa del tempo, insieme alla radio. Al di là di storie e trame, quando i film anche più leggeri mettono in scena la contemporaneità non possono fare a meno di ambientarla, dunque di mostrarci in quali case si vivesse, con quali oggetti, con quali mobili e soprammobili, con quali, eventualmente, opere d’arte alle pareti. In certi frammenti di film di consumo, talvolta piccoli capolavori cinematografici, per quest’occasione appositamente scelti e montati senza distinzioni gerarchiche - tratti da La segretaria privata, La telefonista, Gli uomini, che mascalzoni!, O la borsa o la vita!, Tempo massimo, Inventiamo l’amore, Tre secondi d’amore, Due milioni per un sorriso, Squadrone bianco, La contessa di Parma, Grandi magazzini, Mille lire al mese… - si possono esemplarmente ritrovare, capire e godere, degli anni Trenta, gusti, mode e manie.