u
no dei dipinti su tela di maggiori dimensioni nell’intera vicenda creativa di Sironi, questa Famiglia campeggiava al centro della parete a lui dedicata alla Biennale veneziana del 1932. La difficoltà di individuare le datazioni delle opere sironiane si fa particolarmente sensibile nei tardi anni Venti e nei primi Trenta, quando opere dalla pennellata più sfatta e “espressionista” sembrano essere contemporanee di altre, spesso di più grandi dimensioni, incentrate sui temi del lavoro e, appunto, della famiglia, dove l’artista recupera una maggiore compattezza nelle forme, una cromia smaltata che rimanda al Quattrocento, e un carattere grandioso, epico e monumentale, comune alle prime prove di pittura pubblica su vasta scala, contemporanee o di poco successive. Se la figura di madre con bambino è immessa, nella Periferia con mendicante (Berlino, Neue Nationalgalerie), nel contesto drammatico e “attuale” dei sobborghi industriali, i quattro dipinti che hanno a soggetto la famiglia (oltre a quello esposto vi sono i due conservati, rispettivamente, alle Gallerie Comunale e Nazionale d’Arte Moderna di Roma, nonché uno in collezione privata) si situano in un paesaggio rupestre e atemporale. Allo stesso modo le archetipiche figure sfuggono a ogni connotazione che le possa contestualizzare spazialmente o storicamente, ma appaiono piuttosto come monumentali epifanie di se stesse. Anche in questo, Sironi si rifà alla pittura del Trecento e del Quattrocento. Più che l’iconografi a della Sacra Famiglia, tuttavia, sembra essergli stata presente quella del Lavoro dei Progenitori: le figure corpose e massicce non alludono al trascendente e al divino, ma trasfigurano l’umano in chiave di eroica celebrazione. Appartenuta a Marcello Piacentini, questa Famiglia pervenne, dopo diversi passaggi di proprietà, a Claudia Gian Ferrari, che, prima della sua scomparsa, la donò, assieme al nucleo più importante della sua collezione, al Fondo per l’Ambiente Italiano, affinché fosse collocata nella milanese Villa Necchi, dove essa attualmente si trova. Il dialogo, che questa e le altre opere della donazione Gian Ferrari sono venute a creare con lo spazio architettonico della Villa, ha generato una soluzione museografica particolarmente felice e di forte impatto evocativo. Andrea Sironi-StraußwaldBibliografia
Biennale 1932, pp. 35, 107, n. 34; L’Art italien 1935; Castelfranco-Valsecchi 1956; Biennale 1962, pp. 22-28, n. 40; Sironi 1973, pp. 64 e 165, n. 57; Valsecchi 1974, n. 6; Bellonzi-Gian Ferrari 1985, p. 81, n. 71; Malvano 1988, p. 77, n. 1; Sironi 1988, n. 107; Italian Art 1989, tav. f.t., p. 418, n. 109; Arte Italiana 1989, pp. 541 e 748; Sironi 1993, p. 212; Venezia e la Biennale 1995, p. 246, n. 98; Messina 1996, p. 46; The Age of Modernism 1997, tav. f.t., n. 41; Braun 2000, n. XII; Italia Nova 2006, pp. 280-281, n. 98; Capolavori del Novecento 2006, pp. 64-65; Margozzi 2006, p. 17. 1.02 ADOLFO WILDT (MILANO 1868-1931) Arturo Ferrarin