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opera entra nelle collezioni civiche romane nel 1935 quando, esposta alla II Quadriennale d’Arte Nazionale, viene acquistata dal
Governatorato romano. La grande tela segna il momento di maggior avvicinamento di Gentilini alla poetica espressa dalla pittura di
Corrado Cagli, esponente di quel versante della Scuola romana che guarda al mito come fonte d’ispirazione, in un fare
pittorico costruito attraverso calibrati e scanditi rapporti tonali. Giunto a Roma nel 1929, dopo il soggiorno parigino, Gentilini è
diviso fra l’influenza esercitata dai lavori di Cagli, Cavalli e Capogrossi e le suggestioni espressionistiche e visionarie della pittura
di Scipione, di Mafai e della Raphaël. Tuttavia, Giovani in riva al mare è soprattutto improntato a un arcaismo dai toni
chiarissimi che viene dalla formazione faentina dell’artista sulle riproduzioni delle opere di Giotto, Paolo Uccello e Piero della
Francesca (i nudi del Battesimo di Cristo), alla cui misura la composizione si ispira anche per la vocazione architettonica. Prospettiva,
luce, geometria e senso dello spazio permeano il dipinto che, come lo stesso Gentilini ricorda nel 1984, a proposito della propria pittura
del tempo (Giacomozzi 1984), irrigidisce, secondo una maniera chiara e naturale (alla quale si sostituiranno a partire dagli anni ’40
modi altrettanto “scuri”), i nudi, togliendo loro l’emozione perché diventino “simboli”, “allegorie”, simili alle figurazioni dei frontoni
delle cattedrali romaniche, al di fuori dello scorrere del tempo e distaccate dalla fragilità dei sentimenti umani.
Silvia Vacca
Bibliografia
Quadriennale 1935, n. 13, tav. LII; Arte moderna in Italia 1967, p. 379, fig. 1863; Gentilini 1985; Jouffroy
1987, p. 52, tav. 6; Gentilini 1991, p. 61, n. 5, tav. 5; Appella 2000, p. 152-153, n. 115, tav. XVIII; Gentilini 2009, p. 62, n.
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