Prendersi costantemente cura di qualcuno può avere un forte impatto sul benessere fisico e mentale. Con il tempo, la compassione può trasformarsi in
“stanchezza da compassione”, uno stato in cui stress, ansia e atteggiamenti negativi dominano la tua mente cosciente: stati d’animo non adeguatamente
supportati da una società che dà poco sostegno a chi assiste i propri cari. Oltre a questo possiamo avere la sensazione di non essere più noi stessi,
di essere isolati e con scarse realizzazioni personali, specialmente se stiamo aiutando un malato cronico, che ha poche speranze di miglioramento.
L’approccio consapevole è non perdere di vista la propria vita pur rispondendo ai bisogni dell’altro, per apprezzare l’esperienza del
momento presente e investire pienamente nella relazione, esplorando in questo non solo gli aspetti pratici della cura ma anche quelli del vostro
legame. Chi si prende cura di un familiare per lunghi periodi deve fare attenzione che la propria empatia non porti ad assorbire la tristezza altrui.
Gli atteggiamenti positivi scaturiscono dal sentirsi positivo. Stare il più possibile nel qui e ora aiuta a diminuire i rimpianti per il passato o le
ansie per il futuro.
Il pensiero: “Questa sarà la mia vita fino a quando non ce la farò più e sarò costretto a farmi aiutare da un terapeuta”, è del tutto
inutile perché è al tempo stesso ipotetica e reattiva, ma anche per la limitata visione che nasconde in sé rispetto alle tue possibilità. Tanto più
attingerai alle tue forze per uscire dal buio della sofferenza, quanto più sarà possibile vivere momenti felici, di contatto, risate e spontaneità. Se
porti energia vitale nell’esperienza, l’ombra della malattia sarà più debole. In ogni caso, si sa che il dare è un ingrediente importante della
felicità, che deriva dall’avere ben chiaro ciò che fai e dal dare il meglio di te.