Capita a volte di dover rifiutare. D’altra parte la giornata è fatta di 24 ore e le nostre energie non sono illimitate. Molti però non si sentono a
proprio agio a dire di “no”, perché temono di compromettere i loro rapporti. Qual è quindi il segreto di un sacrosanto “no” o “non adesso”?
Salvare la faccia
Questo concetto è stato coniato nel 1963 dal sociologo canadese Erving Goffman, ma si usa ancora oggi. In parole povere: nessuno vuole sentirsi
sminuito e poiché dire di no mette a rischio la nostra reputazione, ossia la “faccia”, molti si sentono in imbarazzo nel farlo. Goffman distingue
tra:
■ Faccia positiva: il desiderio di essere percepito come una persona brava e affidabile.
■ Faccia negativa: il desiderio di restare autonomo.
I linguisti Penelope Brown e Stephen C. Levinson hanno ampliato questa idea classificando i vari modi per dire di no in quattro categorie (vedi
“Teoria della cortesia” a destra). Ciascuna ha un effetto diverso sulla “faccia” che ogni ascoltatore pensa di avere.
Se vuoi dire di no senza offendere nessuno, forse devi riflettere su quale aspetto della sua reputazione l’interlocutore voglia proteggere.
Soprattutto quando ricopri una posizione subordinata rispetto a chi ti pone la richiesta. Tenere in considerazione in che modo la tua risposta
potrebbe minacciarlo ti aiuta a ridurne la reazione negativa.
Una volta che hai deciso di dire di no, puoi ricorrere a tutta una serie di strategie per sfruttare a tuo vantaggio la situazione:
■ Trova il lato positivo: il negoziatore e consigliere William Ury ha inventato l’arte di dire no in maniera positiva. Si articola in
tre passaggi: sì, no, sì.
Afferma: “Mi piacerebbe molto collaborare con te”.
Stabilisci un confine: “Gennaio è un brutto momento per me”.
Proponi un’alternativa: “Perché non confrontiamo gli impegni e troviamo un altro periodo dell’anno?”. Ury suggerisce inoltre di avere
un “MAAN” - migliore alternativa all’accordo negoziato (“BATNA” in inglese) - in modo che se la trattativa non dovesse andare bene hai già un piano
B.