PRIMA PARTE

ASPETTI GENERALI

1. MONGOLISMO

SINDROME DI DOWN-TRISOMIA 21 ARGOMENTI STORICI

GIUSEPPINA BOCK

È di grande importanza ed attualità il “problema della disabilità” e dei conseguenti programmi riabilitativi finalizzati al recupero totale o parziale delle funzionalità compromesse, per ridurre o correggere difetti, inserire il disabile nei differenti contesti familiare, professionale e sociale (1).

Mentre si riflette sulla parola disabilità, se ne suggeriscono e se ne introducono altre; i concetti di assistenza ed integrazione, pur assumendo dimensioni strettamente connesse alle definizioni stesse di salute e malattia, sono in realtà pratiche “curative” espletate in soggetti in cui sono presenti anomalie varie, di tipo anatomico e/o funzionale, di comportamento, di locuzione, di destrezza.

pur nella scarsità e nella saltuarietà delle fonti, è sembrato opportuno premettere una ricostruzione storica del complesso argomento, con particolare riferimento alla sindrome di Down (SD) o trisomia 21.

La paleopatologia, ovvero lo studio e l’esame medico di antichi resti umani, solitamente emersi nel corso degli scavi archeologici, permette oggi non solo di descrivere singole lesioni patologiche, ma anche di ricostruire il contesto sociale dei soggetti considerati, sulla base di dati storici, filologici e antropologici. Questa disciplina consente, ad esempio, di determinare se il soggetto portatore di handicap era rifiutato da parte di una certa comunità oppure se veniva preso in carico da parte di un’altra comunità. Si desume più frequentemente l’accettazione dell’handicap piuttosto che il suo rifiuto.

il riscontro di stati particolarmente invalidanti su scheletri di epoca preistorica, giunti ad età adulta, rende possibile provare l’esistenza di rudimentali sistemi curativi ed assistenziali (2).

Riguardo la SD, il ritrovamento di una statuetta risalente al neolitico greco (Tessaglia, 5000 a.C.), che rappresenta verosimilmente un soggetto affetto da trisomia 21, dimostra l’esistenza di questa anomalia genetica in quel territorio e in quel periodo, fatto mai evidenziato prima, Fig. 1 (3).

In riferimento ai reperti scheletrici, l’attuale diagnostica per immagini, permette di evidenziare lesioni altrimenti difficilmente interpretabili in soggetti allo stato scheletrico, amplificando così in modo considerevole nuove possibilità di ricerca e risultati.

L’osservazione di crani provenienti da diversi siti archeologici europei, datati tra il 3200 a.C. e l’800 d.C., ha permesso l’individuazione di soggetti affetti da questa sindrome.

In particolare, è stato studiato il caso di una ragazza di circa 18-20 anni, riferibile all’età del bronzo, esumata a Tanberbischofsheim in Germania: la diagnosi certa è emersa nel corso di un esame sistematico del blocco cranio-facciale che ha chiaramente evidenziato le anomalie dismorfologiche caratteristiche della SD (4).

un altro caso di paleopatologia di trisomia 21 è stato recentemente segnalato: si riferisce allo scheletro di una adolescente ritrovato nei pressi di Roma, risalente questa volta all’età del ferro (5).

Ne consegue che questa “patologia” è forse sempre esistita, così come tante altre la cui comparsa sulla terra viene spesso fatta coincidere con una prima descrizione nosologica (6).