TERZA PARTE

AMBITO SPECIALISTICO CHIRURGICO

21. CARDIOCHIRURGIA

FRANCESCO SANTORO • ELENA RIBERA
Il fenotipo della sindrome di Down è caratterizzato da una serie di anomalie, alcune considerate come minori, e cioè l’epicanto, il taglio obliquo delle palpebre, la clinodattilia, la brachicefalia e la piccola circonferenza cranica, altre da intendere come maggiori: la cataratta, l’atresia duodenale e il megacolon. Tra queste, sicuramente le malattie cardiache congenite sono le più comuni e le più gravi, e si manifestano con una frequenza del 30% sui bambini con sindrome di Down nati vivi (1).
L’inquadramento fisiopatologico, la descrizione anatomica, i quadri clinici e le indicazioni al trattamento medico e chirurgico delle cardiopatie congenite associate alla sindrome di Down sono state ampiamente e dettagliatamente trattate in un altro capitolo del libro.
In questa sede verranno affrontati e approfonditi gli aspetti più squisitamente tecnici degli interventi cardiochirurgici altrove menzionati.

Dal punto di vista generale, gli interventi di cardiochirurgia si effettuano prevalentemente esponendo il cuore attraverso una sternotomia mediana (lo sterno è un osso piatto che delimita anteriormente il torace). Il risultato sarà una cicatrice cutanea lunga 18 - 20 cm al centro del torace. Alcuni però possono essere effettuati attraverso altri accessi chirurgici, ma quelli che prevedono una correzione intracardiaca, specie nel bambino piccolo, si possono effettuare solo attraverso questo via, anche perché si deve utilizzare una metodica, quella della Circolazione Extracorporea (CEC), che prevede l’uso di una macchina, il by-pass cardiopolmonare, che deve essere collegata al sistema circolatorio del paziente attraverso dei tubi e delle cannule, per sostituire temporaneamente la funzione cardiaca e polmonare, e permettere così al chirurgo di vuotare le cavità cardiache e di fermare il cuore. Solo così è possibile “aprire” il cuore per poter correggere le malformazioni. Prima della fine degli anni 50 questa macchina non era stata messa a punto ed è solo da quando è stata resa disponibile all’uso clinico che è nata la cardiochirurgia. Finito l’intervento si richiudono le cavità cardiache e si fa ripartire il cuore, mettendolo lentamente nelle condizioni di supportare da solo il circolo per poter rimuovere la circolazione extracorporea. Questa tecnica è quella che viene comunemente utilizzata per tutti i nostri interventi.

Canale atrioventricolare (CAV)

Per frequenza è la malattia cardiaca congenita più frequente tra i bambini affetti da sindrome di Down. Circa il 40% dei bambini Down cardiopatici ha un CAV. La malattia è caratterizzata dalla mancata formazione del tessuto settale sopra e sotto il livello delle valvole atrioventricolari, che possono essere più o meno coinvolte. La malattia è anche conosciuta come “difetto dei cuscinetti endocardici”. Fin dalle prime descrizioni anatomiche, a seconda della misura della partecipazione di entrambi i setti e di entrambe le valvole atrioventricolari, sono state definite tre forme di questa malattia: il canale atrioventricolare parziale, in cui generalmente è presente un difetto del setto interatriale e un coinvolgimento strutturale della valvola mitrale, una forma completa, in cui entrambi i setti non sono formati e le due valvole atrioventricolari sono fuse in un unico orifizio valvolare, ed una forma intermedia o transizionale, in cui rientrano tutte le altre possibili varianti delle due precedenti. La malattia include quindi uno spettro di malformazioni in cui si passa dalla forma più semplice, appunto il CAV parziale ad una ben più complessa (il CAV completo) passando attraverso le forme intermedie. Nei pazienti con sindrome di Down in genere, le forme più comuni sono quelle complete e quelle intermedie, in cui c’è o c’è stata la presenza del difetto interventricolare(1-5). La storia naturale dei pazienti non operati dipende ovviamente dai dettagli anatomici e funzionali della malformazione. Nelle forme parziali con lieve o minima insufficienza della valvola atrioventricolare sinistra, la storia naturale è molto simile a quella dei portatori di un semplice difetto interatriale, con un basso rischio di sviluppare ipertensione polmonare quando accade, solo nella terza o quarta decade di vita. Se invece l’insufficienza mitralica è moderata o severa lo sviluppo di ipertensione polmonare può essere più precoce e circa il 20% dei pazienti sono sintomatici già nella prima decade di vita. I pazienti con forme complete di CAV hanno una storia naturale decisamente peggiore. Senza intervento l’80 % dei pazienti non sopravvive all’infanzia e tra quelli che sopravvivono ai primi anni di vita il 90% sviluppa una vasculopatia polmonare significativa che rende impossibile alcun approccio chirurgico. Un dato che rafforza queste affermazioni è che nelle forme complete il 70% dei pazienti è operato entro l’anno di vita, mentre nelle forme parziali entro l’anno di vita è operato solo il 5% dei pazienti ed il 50 % viene corretto entro i 5 anni (6,7).

Tecnica chirurgica

L’obiettivo del trattamento chirurgico del CAV è: chiusura del difetto interatriale, immancabilmente presente; chiusura del difetto interventricolare, nel caso sia presente; creazione di due orifizi valvolari continenti e non ostruttivi; evitare di danneggiare strutture cardiache adiacenti, prima fra tutte l’apparato di conduzione dell’impulso elettrico al cuore che decorre molto vicino sia al difetto interatriale che a quello interventricolare. Per completare questo programma esistono varie tecniche in rapporto non solo al chirurgo, ma anche a come sono arrangiate le malformazioni. La via di accesso alle cavità cardiache è l’atrio dx. Aprendo l’atrio dx si possono correggere tutte le malformazioni intracardiache. Per semplicità descriviamo la tecnica utilizzata per correggere il canale atrioventricolare parziale e quella per la forma più comune di canale atrioventricolare completo.

CAV parziale

Come già detto in questa forma non si è formata la parte bassa, cioè adiacente il piano valvolare, del setto interatriale. Il difetto è definito “ostium primum”. Insieme al difetto interatriale c’è costantemente la partecipazione del grande lembo della valvola mitrale che risulta scomposto in due emilembi a causa di una fenditura del corpo del lembo valvolare (cleft mitralico). L’intervento consiste nel chiudere la fenditura del grande lembo mitralico suturandola direttamente e nel chiudere il difetto interatriale con una toppa (patch) di materiale biologico (membrane ricavate dal pericardio di animali), fissata ai margini del difetto. il rischio di complicanze globale è basso, quello di causare un blocco della conduzione atrioventricolare anche, ed i risultati sono eccellenti e stabili nel tempo, tanto da considerare l’intervento come definitivo. Dopo molti anni è possibile però che la valvola mitrale riparata diventi insufficiente tanto da rendere necessario un reintervento per sostituirla.

CAV completo

Nelle forme complete si è gia detto che ad essere coinvolte sono tutte le componenti cardiache e cioè i due setti e le due valvole atrioventricolari. Esistono alcune varianti anatomiche che riguardano soprattutto i rapporti tra le varie componenti del difetto e che ci permettono di classificare i CAV completi in tre forme, A, B e C. Per semplicità descriveremo solo la correzione delle forme di tipo A. La tecnica utilizzata dalla maggioranza dei chirurghi è quella cosiddetta del “doppio patch”, perché prevede l’uso di due patch separati per chiudere rispettivamente il difetto interatriale ed il difetto interventricolare. i due patch vengono poi suturati insieme risospendendo le cuspidi delle valvole atrioventricolari e di fatto separando all’interno della valvola atrioventricolare comune le due componenti, mitrale a sinistra e tricuspide a destra. I rischi sono intuitivamente maggiori che per la correzione del CAV parziale e, sebbene si tratti di un intervento ampiamente standardizzato e codificato, la variabilità delle forme anatomiche e all’interno di queste, la variabilità individuale, rende il risultato, soprattutto in termini di insufficienza residua delle valvole AV (mitrale in primis), alquanto aleatorio. Questo è molto importante tanto più che il risultato a breve e a lungo termine, dipende in larga misura proprio dalla eventualità di una insufficienza mitralica residua. Allo stesso modo il rischio di danneggiare le vie di conduzione è leggermente più elevato, così come quello di avere, nel periodo immediatamente postoperatorio, crisi di ipertensione polmonare, difficilmente controllabili se non con l’utilizzo di un gas, l’ossido nitrico, un potente vasodilatatore polmonare, che ha modificato sostanzialmente i risultati. Il rischio globale è quindi più alto, intorno al 10% con un rischio di morte significativamente più alto che nelle forme parziali. Inoltre, in maniera caratteristica non c’è differenza in termini di mortalità e morbilità ospedaliera tra le forme di CAV completo dei pazienti affetti da sindrome di Down e di quelli non sindromici. I rischi sono simili, ma i primi hanno un miglior risultato a distanza, espresso come una minore percentuale di reinterventi sulla valvola mitrale, da taluni studi messa in relazione ad una più facile ricostruzione delle valvole atrioventricolari nei soggetti Down. Anche questo è un intervento da intendersi correttivo, cioè definitivo, ma occorre tenere presente che circa il 10% dei pazienti operati di correzione di CAV completo, torna al cardiochirurgo per un reintervento per disfunzione mitralica, da esiti cicatriziali e dilatazione anulare, anche a distanza di molto tempo. Il timing ideale per operare il bambino con CAV completo è intorno ai sei mesi di vita, ad un peso di circa 6 kg, ben prima quindi che si stabilisca una ipertensione polmonare irreversibile che renderebbe controindicato l’intervento chirurgico correttivo (7-9).