QUARTA PARTE

AMBITO NEURO-RIABILITATIVO

29. SVILUPPO E CARATTERISTICHE 
NEUROPSICHIATRICHE

CARLO LENTI • CECILIA ELENA PREDA
Introduzione

Pur essendo stata oggetto di numerosissimi studi, per la Sindrome di Down (SD) è ancora oggi difficile descrivere un quadro sufficientemente tipico da definire un fenotipo specifico, come invece è possibile per altri quadri clinici, in cui sono ben evidenti linee di sviluppo peculiari rispetto al normale (per es. l’autismo, la Sindrome di Williams), o comportamenti quasi patognomonici (iperfagia nella Sindrome di Prader-Willi, movimenti di hand-washing nella Sindrome di Rett, pianto caratteristico nella Sindrome 5p).

Definire la specificità fenotipica permette di migliorare la diagnosi ma soprattutto di disegnare progetti di intervento terapeutico e riabilitativo più efficaci e diretti.

Pur mancando questa specificità fenotipica, nella SD alcune caratteristiche psicologiche e comportamentali fanno ipotizzare modalità di sviluppo atipiche, in accordo con le sostanziali specificità di morfologia e funzionamento neuropsichico (1).

Sembra utile soffermarsi sulle alterazioni neuropatologiche, per poi analizzarne più in dettaglio i correlati clinici, dal punto di vista sia neuropsicomotorio e cognitivo sia relazionale/sociale e personologico; accenneremo poi alla comorbidità neurologica e psichiatrica e agli interventi riabilitativi.

Aspetti neuropatologici

Diversi studi hanno cercato di correlare lo sviluppo morfofunzionale dell’encefalo nei soggetti Down con il quadro neurocognitivo nelle diverse età.

L’analisi di questo rapporto è quanto mai complessa, soprattutto per la difficoltà a identificare il ruolo dell’ambiente e della riabilitazione/stimolazione sull’organizzazione neurofunzionale e quindi sul fenotipo osservato.

Le dimensioni del cervello sono normali nei primi 6 mesi di vita e solo successivamente appaiono ridotte. Dopo i 3-5 mesi si evidenzia la caratteristica forma arrotondata, con un accorciamento fronto-occipitale e un ampliamento del diametro laterale (2-3). L’aspetto delle circonvoluzioni è scarsamente organizzato, con restringimento del giro temporale superiore e apertura dell’insula. Il peso del cervello è ridotto (fino al 76% del normale). Altrettanto ridotto (del 66%) è il peso di cervelletto e tronco cerebrale.

Le dimensioni di corteccia frontale, corpo calloso anteriore e strutture limbiche (uncus, amigdala, ippocampo e giro paraippocampale) sono proporzionalmente più ridotte (4-5), diversamente invece dalla corteccia parietale che appare normale (6). La sostanza grigia è proporzionale al volume cerebrale (3). La dimensione di talamo e nucleo lenticolare, a differenza di quella del nucleo caudato è aumentata rispetto ai normali (3). Galaburda e Kemper (7) hanno osservato una spiccata povertà di cellule dei granuli in tutte le aree corticali, mentre nei nuclei della base, anche in presenza di placche compatibili con la malattia di Alzheimer, la densità neuronale è pressochè normale (8).

inoltre caratteristica è la perdita selettiva di neuroni a carico della zona rostrale del locus coeruleus, deputati a inviare proiezioni a corteccia cerebrale, ipotalamo e proencefalo, con un pattern simile a quello dell’Alzheimer e altre demenze (9).

Inoltre, in un quarto circa dei soggetti tra i 2 mesi e i 6 anni si osserva un ritardo di mielinizzazione (10) che interessa soprattutto le fibre fronto-temporali, cioè quelle che si mielinizzano più tardi nello sviluppo: sembra quindi che le alterazioni neuropatologiche avvengano sul cervello non del neonato ma del lattante.

L’arborizzazione dendritica sembra essere paradossalmente aumentata nei primi mesi di vita, probabilmente come risposta compensatoria all’assenza di sinapsi adeguate e funzionali; diminuirà poi fin sotto la norma intorno ai due anni di età (11).

Le alterazioni corticali sopra descritte sembrano costituire il substrato neuropatologico correlato alle difficoltà cognitive e di apprendimento riscontrate alle varie età, soprattutto nell’ambito dei processi attentivi, dell’elaborazione dell’informazione, della memoria e del linguaggio (12).

Alcuni deficit caratteristici della sindrome, come i disturbi uditivi e le conseguenti difficoltà di linguaggio possono anche verosimilmente essere correlate al ritardo e alle anomalie di sviluppo del sistema uditivo (13).

Dati interessanti sono forniti dagli studi neurofunzionali mediante la PET che hanno dimostrato, ad esempio, un incremento globale del metabolismo del glucosio a livello cerebrale (14-15). Tale dato, apparentemente controintuitivo, si può meglio interpretare se analizziamo il metabolismo nei diversi distretti: esso appare infatti diminuito o disfunzionale a livello frontale, medio-temporale e nei nuclei della base.

In età adulta, dopo i 35 anni, le principali osservazioni su funzioni cognitive e quadro neuropatologico riguardano soprattutto il rapporto tra sindrome di Down e malattia di Alzheimer, ancora controverso.

Al contrario di quanto in precedenza ritenuto, è stato dimostrato che solo raramente, almeno prima dei 50 anni, si verifica un reale deterioramento (16) e, anche se la maggioranza dei soggetti presenta le tipiche alterazioni dell’Alzheimer (atrofia corticale, neurofibrillare e placche neuritiche) (17), meno del 50% mostra i caratteristici segni clinici di demenza; demenza che comunque aumenta progressivamente con l’età, fino a raggiungere il 77% tra i 60 e i 69 anni (18).

Probabilmente le differenze neuropatologiche tra i due quadri vanno individuate a livello biochimico: infatti solo le placche in forma insolubile (presenti nei Down solo dopo i 50 anni) sarebbero associate al deterioramento cognitivo. Quest’ultimo sembra anche correlato non solo alla globale riduzione volumetrica dell’encefalo, ma anche ad una maggior compromissione dell’ippocampo e dell’amigdala di sinistra (19). Resta il fatto che clinicamente può essere difficile una diagnosi differenziale tra Alzheimer e sindrome di Down, dove il ritardo mentale preesistente ed altre complicanze, come l’ipotiroidismo o la depressione, possono confondere il quadro sintomatologico.

Lo sviluppo neuropsicomotorio e cognitivo

Sviluppo cognitivo

Pur essendo il deficit cognitivo un tratto peculiare della SD, è necessario sottolineare l’ampia variabilità intra-sindromica, con ritardo mentale da lieve a profondo, ed eccezionali casi di QI nei limiti di norma; nella maggior parte dei casi il QI sembra essere compreso tra 50 e 80. I soggetti con SD dovuta a mosaicismo hanno QI maggiori di 10-30 punti rispetto alla tradizionale trisomia, e migliori se non normali capacità visuo-percettive (20).

Appare inoltre evidente un certo decadimento delle capacità cognitive con la crescita e l’invecchiamento (16). Alcuni studi hanno mostrato una progressione cognitiva nei primi anni di vita, seguita da una fase di “pausa” nello sviluppo tra i sei e gli undici anni (21).

il deficit cognitivo, come vedremo nei successivi paragrafi, è generale, ma non uniforme in tutte le sue componenti, evidenziando problemi specifici nelle abilità legate alle funzioni ippocampali, prefrontali e cerebellari.


Sviluppo motorio

Dal punto di vista “strutturale” nei bambini con SD sono state evidenziate differenze nel peso e nell’altezza: in epoca prenatale i bimbi con SD sono più piccoli dei normali, e altrettanto più piccoli rimangono fino ai 36 mesi; dai 3 anni in poi sembrano raggiungere i coetanei normali, tuttavia sia maschi che femmine sembra abbiano uno sviluppo puberale ritardato, ma con caratteri sessuali secondari normali (22). In età adulta hanno un’altezza due deviazioni standard sotto la media (23), e sono tendenzialmente sovrappeso fino all’obesità (23-24).

Lo sviluppo psicomotorio è di solito ritardato e influenzato dall’ipotonia, dalla lassità legamentosa e dall’iporeflessia, caratteristiche di questi bambini.

Nei primi mesi di vita è stata riportata una ritardata scomparsa dei riflessi arcaici e degli automatismi (prensione, marcia automatica, Moro), un’alterazione della risposta di contrazione nel riflesso patellare e nella posizione spontaneamente assunta in sospensione ventrale (25). Uno studio longitudinale riporta la maggiore gravità dell’ipotonia nei piccoli Down portatori di cardiopatia congenita (26). Alcune abilità, come la rapidità, le strategie motorie e il tipo di prensione nei soggetti più grandi sono abbastanza adeguate (27), mentre al contrario l’equilibrio, la postura, la forza e numerose funzioni motorie grossolane e fini possono essere maggiormente compromesse (28).

I problemi psicomotori dei bambini Down potrebbero anche parzialmente dipendere dall’alterazione di strutture fondamentali nei processi di apprendimento, come l’ippocampo (coinvolto soprattutto nella cognizione spaziale, nella flessibilità dei processi di acquisizione delle informazioni e nel consolidamento di quanto appreso) e il cervelletto (implicato nell’apprendimento motorio e nella memoria).

Le capacità di apprendimento e memoria, che in epoca precoce appaiono relativamente adeguate, progressivamente, entro il 1° anno, risultano inferiori rispetto ai bambini normali (29-30), mentre sembrano indenni le abilità spaziali, anche se i bambini Down tendono ad afferrare più il globale del dettaglio (31-32).

Non sono inoltre trascurabili eventuali disfunzioni percettive o sensoriali (per esempio a livello visivo o uditivo). Comunque le principali tappe nell’ambito senso-motorio, come la consapevolezza dei concetti spazio temporali, il giudizio morale, ecc. vengono raggiunti, anche se in tempi più lunghi (33-34).

La tabella 1 mostra l’età in cui vengono raggiunte le principali tappe psicomotorie nel bambino con SD in confronto al bambino normale (35).


Tappa motoria

Bambino con SD (età media in mesi)

Bambino senza SD (età media in mesi)

Controllo autonomo del capo (testa dritta e in equilibrio)

5

3

Rotola per girarsi

8

5

Posizione seduta autonoma

9

7

Si mette in piedi appoggiandosi a un sostegno

15

8

Cammina con sostegno

16

10

Sta in piedi da solo

18

11

Cammina da solo

19

12

Sale le scale aiutato

30

17

Scende le scale aiutato

36 (3 anni)

17

Corre

48 (4 anni)

24-36 (2-3 anni)

Salta da fermo

60 (5 anni)

48 (4 anni)


In uno studio longitudinale è stato dimostrato che la riabilitazione precoce (intorno ai 6 mesi) con trattamento fisioterapico e appositi sistemi che “mimano” lo schema del passo, permetteva ai piccoli Down di deambulare 3 mesi prima rispetto al gruppo di controllo (36); la riabilitazione precoce è importante sia dal punto di vista prettamente motorio che da quello sociale: quando il bambino comincia a camminare le sue possibilità di gioco e di relazione coi pari aumentano significativamente; le attività motorie gli permettono di esplorare e apprendere cose nuove (37).


Linguaggio

Il linguaggio è la funzione strettamente legata allo sviluppo cognitivo che, nei soggetti Down, appare più compromessa rispetto all’organizzazione di altre abilità superiori e al livello intellettivo (38).

Lo sviluppo prelinguistico nei piccoli Down è ritardato rispetto ai bambini normali: nella fase preverbale necessitano di più tempo per superare la fase di lallazione (39), e hanno più problemi di tipo articolatorio, tanto da far sospettare aprassia o disprassia del linguaggio (40).

Per quanto riguarda il linguaggio espressivo è stato osservato che in epoca preverbale i piccoli Down utilizzano le richieste non verbali di oggetti con minor frequenza dei bambini normali della stessa età, (41-42). Inoltre nell’interazione con la madre (43-44) utilizzano meno il linguaggio rispetto ai bambini normali della stessa età mentale.

Molti bambini con SD non sviluppano produzione di parole convenzionali prima dei due o tre anni, a causa anche del ritardo nello sviluppo motorio e articolatorio (44-45); le prime parole compaiono solitamente intorno ai tre o quattro anni: non appena cominciano a parlare con frasi complete di due/tre parole sembrano esprimere lo stesso “range” di significati tematici e relazionali caratteristici del primo linguaggio dei bambini normali.

Il maggior sviluppo del linguaggio, strettamente connesso alla maturazione delle abilità comunicative e agli interessi dei bambini, avviene prima dei sette anni (21) ed è prevalente sul piano espressivo rispetto a quello recettivo; per valutare lo sviluppo del linguaggio si può usare la lunghezza media della frase (“mean lenght of utterance”, MLU), considerata di circa 12 parole in una conversazione normale tra adulti, e di 6 parole in bambini di circa 5-6 anni. Nei bambini con SD la MLU aumenta in relazione all’età fino circa all’adolescenza, rimanendo comunque inferiore (circa la metà) a quella dei bambini normali: 1 parola a 2 anni, 2 parole intorno ai 9-10 anni, 6 parole a 12 anni (47). Gli adolescenti Down continuano poi a manifestare povertà di vocabolario e di grammatica, soprattutto nella fluenza semantica, nel bagaglio lessicale, nell’uso appropriato dei termini nel contesto e nella sintassi (31); l’uso funzionale di strutture grammaticali (articoli, preposizioni, pronomi, congiunzioni, ausiliari) e l’uso di genere, tempi e modi verbali sono limitati, ma l’ordine delle parole nella frase in genere è corretto (48-50).

Alcuni studi riportano una difficoltà nella comprensione delle strutture morfosintattiche (51), tuttavia i bambini e gli adolescenti Down sono particolarmente bravi nell’uso del linguaggio narrativo, soprattutto quando utilizzato per raccontare storie, nonostante le predette limitazioni lessicali e sintattiche, forse come risultato della loro maggiore “esposizione” all’ascolto delle favole (52-53).

In conclusione si può dire che il quadro più tipico del linguaggio nei pazienti con SD sembra essere caratterizzato da deficit fonologici e morfosintattici, ma discreta conservazione delle abilità semantiche e pragmatiche. il quadro è coerente con le alterazioni neuropatologiche (ipofrontalità, diminuzione in peso e volume del cervelletto, diminuzione della mieli-nizzazione e scarsità/anomalia delle sinapsi, soprattutto a livello della corteccia associativa e del corpo calloso, con discreta funzionalità delle strutture diencefaliche e dei gangli basali) (54-56).

È importante infine sottolineare che nonostante le limitazioni suddette, non si tratta comunque di un deficit nella comunicazione, considerato il buon livello dell’espressività gestuale.


Memoria

Tra le abilità cognitive la memoria è quella per cui è certamente descritto un quadro piuttosto tipico, che potrebbe quasi essere definito fenotipicamente specifico: memoria implicita e semantica commisurate al livello di funzionamento generale, memoria di lavoro compromessa prevalentemente nella parte uditivo-verbale, memoria episodica alterata sia nella componente uditivo-verbale che in quella visuo-spaziale. È tuttavia importante ricordare che la memoria, data la forte componente esperienziale, risente dell’ambiente e degli eventi che caratterizzano la crescita del piccolo Down, e all’interno di una serie di alterazioni tipiche troviamo comunque grande variabilità intra-sindromica. Altra componente che fortemente influenza la capacità mnesica è la competenza sensoriale (vista, udito, coordinazione), ritardata o compromessa nei bimbi con SD.

Cos’è la memoria? A cosa serve? In senso più generale si può definire come la storia imperfetta ma unica di ciascuno di noi; contiene le esperienze passate, le cose che abbiamo fatto, i luoghi e le persone che abbiamo conosciuto, le nozioni imparate, ciò che ha attirato la nostra attenzione, i nostri sentimenti. Tutto questo non solo serve a formare l’identità personale, ma anche serve da guida per le azioni e decisioni future e per arricchire il pensiero, le prospettive, le idee.

Dal punto di vista formale la neuropsicologia ha classicamente diviso la memoria in una componente esplicita e una componente implicita.

La memoria esplicita (intenzionale) si può a sua volta scomporre in tre sottogruppi:

• Memoria di lavoro: estrae informazioni dalla conoscenza personale dell’ambiente e le mantiene alla coscienza temporaneamente, quanto basta per essere utilizzata nei processi di comprensione, apprendimento e ragionamento. i meccanismi di immagazzinamento temporaneo si basano sulle abilità audiologiche-fonologiche, sulle abilità visuo-spaziali e su processi di attenzione esecutiva centrale che integrano le conoscenze in entrata con quelle estratte dalla memoria a lungo termine.

• Memoria episodica: registra le informazioni localizzate in un dato spazio-tempo, le mantiene alla coscienza per un tempo variabile da minuti ad anni; il consolidamento di queste informazioni nella memoria a lungo termine dipende dalla integrità dell’ippocampo, dei lobi frontali e delle loro connessioni reciproche. È la componente autobiografica della memoria e costituisce il nostro senso di sé.

• Memoria semantica: è associata con la nostra conoscenza generale del mondo, include i significati delle parole, dei concetti e dei simboli; immagazzina informazioni a lunghissimo termine, è correlata alla conoscenza “culturale” e ha una capacità pressoché infinita.

La memoria implicita (automatica) comprende le conoscenze e le abilità acquisite per routine, esercizio o esposizioni ripetute; non richiede uno sforzo esplicito e supporta la gran parte delle nostre attività quotidiane (per esempio nuotare, andare in bicicletta). È fortemente dinamica e dipendente dalle altre abilità cognitive (attenzione, ragionamento, linguaggio). Si può distinguere in memoria procedurale e memoria esperienziale.

Come già precedentemente accennato, le alterazioni della capacità mnesica sono, nella SD, piuttosto tipiche. Nella tabella 2 è schematizzata la divisione della memoria sopra esposta, con le alterazioni caratteristiche della SD.

MEMORIA

ALTERAZIONE

Esplicita

 

Di lavoro


Componente audiologico-fonologica

Deficit specifico per una serie di fattori sinergici:

- molti bimbi con SD hanno deficit uditivi organici.

- l'abilità a immagazzinare l'informazione uditiva dipende dalla capacità di “riascolto interno" delle parole, processo che coinvolge le funzioni articolatorie, e che appare alterato o quanto meno ritardato nei bimbi con SD (Hulme e Mackenzie,

1992; Jarrold et al, 2002; Vicari et al, 2004;

Gathercole, 1998; Marcell e Weeks, 19 9 8)57,58,59,60,61.

Componente visuo-spaziale Corrispondente al livello generale di funzionamento.
Attenzione esecutiva centrale e integrazione Corrispondente al livello generale di funzionamento.

Episodica

Deficit grave (peggiore che negli altri RM) sia della componente visuo-spaziale che della componente audiologico-fonologica: probabilmente la causa è l'iposviluppo dell'ippocampo, dato che questa funzione dipende dall'integrità di ippocampo e aree prefrontali, e le altre abilità prefrontali sono discretamente conservate (Vicari et al, 2000)62.

Un declino rapido e precoce di questa memoria può essere indicativo di degenerazione in

Alzheimer (Devenny et al, 2002; Krinsky et al, 20 02)63-64.

Semantica

Corrispondente al livello generale di funzionamento.

Sono state evidenziate solo intrusioni di parole, ma appartenenti alla stessa categoria semantica e quindi indicative della comprensione da parte dei piccoli Down di questo tipo di categorizzazioni. (Devenny et al, 2002)63.

Implicita

Corrispondente al livello generale di funzionamento (Vicari et al, 2000)62.


Attenzione

Numerosi studi si sono focalizzati sui deficit attentivi nei bimbi con SD, e ne hanno definito un pattern discretamente specifico.

in alcuni studi emergeva che i bimbi Down erano più focalizzati sulla relazione diadica col caregiver piuttosto che su quella triadica (che comprende anche l’oggetto), rispetto ai bimbi normali, e ricercavano direttamente l’attenzione guardando in viso il caregiver per tempi più lunghi (57-61).

Altri studi dimostravano invece che i bambini con SD erano più attratti dai giochi vicini a loro piuttosto che dalle persone distanti (62), e che erano meno interessati a stimoli nuovi rispetto ai bambini senza SD (63), dimostrando altrettanto scarso e lento procedimento di “abitudine-disabitudine” allo stimolo (64).

Queste informazioni apparentemente discordanti sembrano invece confermare una caratteristica tipica del comportamento attentivo dei bambini con SD, cioè la loro difficoltà nello spostamento dell’attenzione e nella fissazione dello stimolo, sia esso il caregiver o il giocattolo: hanno bisogno di tempi più lunghi per fissare gli stimoli, quasi avessero difficoltà a trarre informazioni dagli oggetti (61,65).

Le conseguenze di questi deficit si riverberano sia sui processi di apprendimento, che è evidentemente rallentato e difficoltoso, sia, più inaspettatamente, sulle relazioni, con una causalità che appare essere in realtà finalistica: sembra che i bambini con SD utilizzino la loro attenzione prevalentemente diadica col caregiver, sostenuta e difficilmente spostabile su altri stimoli, per “mascherare” la loro incompetenza in altri ambiti prevalentemente di “performance”(vedi capitolo sulla personalità).


Apprendimento

Abbiamo precedentemente detto che le strutture che maturano dopo la nascita (lobo temporale, ippocampo, cervelletto) sono le più compromesse nei pazienti Down; poiché sono le stesse strutture implicate negli apprendimenti (66), risulta quindi facile capire le difficoltà che devono affrontare questi bimbi.

Per i primi mesi di vita i lattanti Down progrediscono negli apprendimenti psicomotori corrispondenti alla loro età come i bambini normali; già a nove mesi risultano invece compromessi, in particolare nei movimenti delle braccia e nella condizionabilità (30). Sembra poi che i deficit di apprendimento progrediscano con la crescita, parallelamente con l’alterato o il mancato sviluppo di alcune strutture anatomiche.

Tra i più grandicelli vengono frequentemente segnalate difficoltà in matematica, più gravi del deficit cognitivo generale: non riescono ad afferrare e generalizzare istruzioni e dimostrazioni esplicite per la soluzione di problemi matematici nuovi.

Tuttavia è importante sottolineare che non è facile distinguere tra quelli che sono disturbi specifici di apprendimento e i concomitanti problemi di linguaggio, di memoria (soprattutto quella implicata nella stabilizzazione dell’informazione), di attenzione e sensorialità (vista e udito), il che implica una difficile attribuzione della responsabilità del deficit a una ben determinata area cognitiva (1-21).

La Wishart (1), sulla base della fatica dei bimbi Down nell’apprendere nuove abilità e della loro incapacità a consolidarle e utilizzarle, sottolinea la necessità che genitori e insegnanti rinforzino gli apprendimenti acquisiti e affrontino l’evitamento del compito. Le madri spesso parlano troppo rapidamente, senza lasciare spazio a domande o risposte (67), e sembrano essere più direttive e intrusive delle mamme di bimbi senza SD (68), quasi a “compensare” le scarse acquisizioni dei loro bambini. Quando ai piccoli Down viene lasciata più autonomia, per esempio nella scelta dei giochi, alcune abilità si sviluppano più rapidamente, per esempio il linguaggio ricettivo (68); tuttavia è indubbio che questi bambini necessitano di un aiuto e di un’attenzione costante e individualizzata, per trarre dai loro sforzi il massimo risultato.

Personalità e sviluppo relazionale e sociale

Sviluppo sociale

Anche lo sviluppo sociale può essere influenzato dal ritardo motorio, percettivo, cognitivo e linguistico. il tipo di gioco, come i rapporti con i coetanei, sono correlati al livello di sviluppo cognitivo (44). Nonostante il livello soddisfacente di attenzione agli stimoli sociali, i bambini Down, rispetto ai soggetti omogenei per età mentale, possono dar risposte incoerenti agli stimoli ambigui, dimostrando di non recepire adeguatamente, per esempio, il messaggio emozionale veicolato dall’espressione facciale: per esempio rispondono positivamente ad una espressione negativa (69); di conseguenza le relazioni sociali precoci e la risposta emozionale correlata sembrano compromesse. I bambini Down con meno di un anno avrebbero difficoltà non solo a “leggere” le espressioni facciali della madre (70) ma anche a manifestare un affetto positivo nell’interazione con la stessa (71-72). L’interazione tra ambiente e substrato neurobiologico gioca quindi un ruolo assai critico rispetto al raggiungimento delle complete potenzialità nei bambini Down. Proprio perché essi manifestano già precocemente un ritardo nel riconoscimento dei volti e delle emozioni ed hanno difficoltà ad iniziare un’interazione sociale (73) i genitori rischiano di avere un ruolo poco attivo nell’attivazione del figlio e in un periodo successivo di essere troppo controllanti e di non facilitare l’esplorazione e la manipolazione dell’ambiente, determinando così un ulteriore ritardo cognitivo e del linguaggio.

invece in un’epoca successiva le risposte emozionali sono sovrapponibili a quelle dei bambini normali (omogenei per età mentale), sia dal punto di vista della verbalizzazione che del riconoscimento e della identificazione delle emozioni (74-75).

Le competenze nell’ambito sociale sono quindi nel complesso normali, ma compaiono in un’epoca posteriore. Anche il gioco simbolico è in epoca (41).


Personalità e temperamento

Numerosi studi si sono occupati di identificare uno stile personologico e di comportamento che definisse in senso estensivo la SD. i piccoli Down sono tipicamente dotati di un temperamento caratterizzato da una certa passività, da un atteggiamento piacevole e affettuoso, ma anche dalla scarsa reattività agli stimoli nuovi (76-78). Le interviste standardizzate somministrate ai genitori riportavano le loro descrizioni dei figli con SD: “affettuoso, amabile, carino, sorridente, generoso, divertente, capace di stare con gli altri” erano gli aggettivi più utilizzati (16). Questi aspetti positivi per molto tempo hanno mascherato quelli più negativi, come l’iperattività, la scarsa persistenza, la distraibilità e in generale la passività (59,61,7982). Una delle caratteristiche di questi bimbi è in effetti la loro “inconsistenza” nel risultato delle performance: se invitati a ripetere un determinato item di un test, spesso peggiorano o disinvestono, mostrando una difficoltà specifica nell’imparare dalla esperienza pratica (79, 83-85).

Bambini con SD fin da età molto piccole dimostrano di avere comportamenti più socialmente orientati, soprattutto nelle relazioni con gli adulti (74); sembra che i bimbi Down usino questa loro maggiore competenza sociale con una modalità peculiare, volta a provocare una varietà di comportamenti distraenti che focalizzino l’attenzione su qualcosa di diverso dalla prova che in quel momento non riescono a eseguire (79,86). Quando si trovano ad affrontare prove cognitive ed esecutive specifiche e strutturate, le evitano mettendo in atto comportamenti ipersociali, sia positivi che negativi: si alzano dalla sedia, camminano nella stanza, piangono, battono le mani, insomma distraggono l’attenzione dell’esaminatore su qualcos’altro, con una modalità “cognitivamente evitante” tipica proprio della SD (86-88).

Analizziamo quindi nello specifico entrambi gli estremi di questa struttura della personalità. Nei bambini normali la prima consolidazione cognitiva assunta è lo sviluppo del concetto di “causalità” e quindi del pensiero strumentale (89-90), che comincia a esprimersi tra i due e gli otto mesi di vita soprattutto con le abilità manuali: il bambino capisce che deve unire insieme una catena di pensieri e azioni conseguenti se vuole raggiungere il suo scopo; nei bimbi Down questa è l’area sensomotoria maggiormente compromessa sin dai primi mesi di vita (29-30), mentre l’imitazione verbale e gestuale e la relazione spaziale sono più adeguate al funzionamento generale. Non solo quindi i pazienti con SD non sembrano possedere le strategie ottimali per mettere insieme comportamenti sequenziali col significato di raggiungere uno specifico scopo (91-92), ma si è visto che provano anche meno soddisfazione (e conseguentemente non mostrano espressioni facciali compiaciute) quando infine giungono al risultato, quasi non avessero interesse emotivo, o disinvestissero, riguardo ai compiti che coinvolgono il pensiero strumentale e strategico (91). Questo ritardato o anomalo sviluppo del pensiero strumentale è però, come precedentemente accennato, compensato da un funzionamento socio-emozionale particolarmente brillante, come evidenziato formalmente da Fidler con la Scala Comportamentale Vineland; la competenza sociale è l’area specifica dello sviluppo che in questi bambini si struttura meglio e prima. Nel primo anno di vita sono rappresentate dallo sguardo sostenuto, dai vocalizzi, dall’imitazione verbale e gestuale, che, dopo un iniziale rallentamento, progrediscono molto rapidamente nei bambini con SD, sia nei confronti dei genitori che dei pari, ad indicare quanto essi siano competenti nelle pietre miliari primarie dell’inter-soggettività. (93-96). È importante ricordare che esistono comunque sottogruppi di Down che invece sono particolarmente compromessi anche in queste abilità, in comorbidità con i disturbi generalizzati dello sviluppo (97-98).

Se nei Down in età precoce la disparità tra socialità e altre competenze cognitive è particolarmente evidente, essa pian piano scolora quando, con la crescita, le richieste sociali a stampo cognitivo aumentano, pur tuttavia restando un punto di forza anche negli adolescenti.

Possiamo dunque dire che, in questi pazienti, gli atti necessari alla comunicazione intenzionale non-verbale (gesticolare, guardare, richiedere, con processi di attenzione condivisa) esistono e sono utilizzati, non però a scopo strumentale e strutturato finalisticamente, ma principalmente a scopo sociale e relazionale (41-99); utilizzano le loro risorse più per trovare qualcuno che li aiuti piuttosto che per risolvere direttamente il problema (82-100).

Questo temperamento è il risultato quindi di profonde relazioni crociate tra gli aspetti primari (cognitivi, socio-emozionali) dello sviluppo: dobbiamo quindi sottolineare la necessità di stimolare il pensiero strumentale in età più precoce possibile, con modalità più adeguate (flessibilità, generalizzazioni) al problem solving di situazioni che richiedono azioni sequenziali. È importante quindi definire interventi riabilitativi focalizzati, individualizzati e precoci.

Aspetti neurologici e psichiatrici

Meyers e Pueschel (101-103) in un ampio studio su bambini, adolescenti e adulti hanno rilevato un’incidenza globale di disturbi psichiatrici del 22,2%, dato in accordo con quanto in precedenza segnalato (104-105).

A parte il ritardo mentale sono stati osservati nei soggetti Down in età evolutiva prevalentemente disturbi esternalizzanti, come l’ADHD, il Disturbo Oppositivo Provocatorio, quello della Condotta e l’aggressività. Sono però presenti, anche se meno studiati per la loro minore interferenza sul comportamento, anche disturbi internalizzanti, come la depressione e l’inibizione psicomotoria che possono interferire anche sul piano dell’apprendimento. In età adulta i quadri depressivi possono essere molto frequenti (106), come pure i comportamenti aggressivi.

Un disturbo neurologico particolarmente frequente è rappresentato dall’epilessia che può raggiungere una prevalenza del 33% (102-103) con una maggior incidenza prima dell’anno e dopo i trent’anni.

Riabilitazione

Ogni terapia e ogni intervento di recupero devono avere come obiettivo primario l’ampliamento e il consolidamento degli spazi di potenzialità in modo da far conquistare ad ogni soggetto comportamenti più autonomi, originali e adattati. Preliminare rispetto a qualunque intervento riabilitativo deve essere la valutazione attenta delle competenze cognitive, psicologiche e adattative del piccolo Down. La riabilitazione dei soggetti Down deve prevedere un lavoro di equipe che comprende:

• Un insegnante-educatore specializzato che osservi e codifichi i comportamenti, guidi la proposta di un piano educativo, conseguente alla sintesi valutativa dell’equipe e si assuma in prima persona la responsabilità della cura educativa.

• Uno psicologo clinico cha analizzi i difetti funzionali dell’apprendimento e del comportamento con le tecniche del counselling, collabori a definire gli aspetti quali-quantitativi delle devianze e proponga un progetto di intervento psicopedagogico.

• Il neuropsichiatra infantile che deve formulare la sintesi valutativa, cioè definire il quadro clinico con una diagnosi strutturale e nosografica.

A questo nucleo devono associarsi specialisti con maggiori competenze operative specifiche, come il logopedista e il terapista della neuropsicomotricità dell’età evolutiva.

A favore dell’utilità e della necessità di intraprendere il trattamento nei bambini Down in un’epoca più precoce possibile sono numerose ricerche di neuropsicologia e psicodinamica in cui si dimostra che un esercizio funzionale, percettivo o motorio può modificare e aumentare i circuiti cerebrali. ciò in virtù della plasticità cerebrale, che consente agli stimoli ambientali di modificare le strutture neuronali e la stessa espressività. il recupero pertanto mira ad attivare nuove connessioni neurofunzionali e a realizzare una prevenzione secondaria evitando la fissazione di strategie neuropsicomotorie anomale. Gli obiettivi sono quelli di stimolare, sostenere e indirizzare le capacità cognitive e l’apprendimento, come pure integrare e armonizzare la vita affettiva e l’adattamento sociale.

Gli interventi di recupero devono iniziare dagli aspetti relativamente più elementari, costituiti dalle funzioni strumentali e cioè quelle senso-motorie e linguistiche che condizionano gli scambi di stimoli e di messaggi con l’ambiente.

L’educazione percettivo-motoria nei Down non è una vera fisioterapia rivolta al controllo tonico posturale e cinetico di base, quanto un’operazione volta a modificare l’immaturità dell’organizzazione tonico-motoria.

L’obiettivo essenziale è quello del controllo tonico, essendo questo alterato dall’eccessivo ipotono, attraverso le tecniche di rilassamento e con gli esercizi di rappresentazione del corpo, globale e settoriale. Altri obiettivi, come lo sviluppo dei movimenti integrati, l’immagine del movimento, la programmazione motoria, la capacità costruttiva o espressiva sono più complessi da realizzare. Sul piano metodologico è essenziale facilitare lo sviluppo delle funzioni di base, come le senso-percezioni (vista e udito in primo luogo) per favorire l’integrazione intermodale. L’educazione percettiva permette l’acquisizione dello schema corporeo, la rappresentazione dello spazio esterno tridimensionale e della successione temporale degli eventi.

In un secondo luogo è necessario, attraverso la psicomotricità, continuare a sviluppare l’equilibrio tonico, gli automatismi, l’esperienza propriocettiva, gli schemi e la settorializzazione del movimento. Nel soggetto Down, inoltre, va riabilitato il linguaggio (inferiore rispetto alle capacità cognitive di base non verbali), avendo come scopo l’ampliamento del vocabolario recettivo ed espressivo, il miglioramento delle funzioni sintattiche di base, della fonologia, della pragmatica e della memoria linguistica. Non secondario nella riabilitazione cognitiva è lo sviluppo delle funzioni precognitive del pensiero, come l’attenzione, la memoria e la rappresentazione.

Poiché nel ritardo mentale è specifico il deficit nel problem-solving (ovvero l’attribuzione di una gerarchia e di un significato alle informazioni e quindi la programmazione e il controllo delle risposte), in relazione a un difetto di elaborazione centrale e procedurale, una delle modalità d’intervento potrebbe essere quella della semplificazione dell’informazione e della guida diretta alla sua elaborazione mediante nuove strategie cognitive (per esempio schemi e mappe procedurali) e non solo il mero esercizio di una capacità (ad esempio la ripetizione).

Particolare attenzione deve essere posta sulla metacognizione, cioè sulla capacità di pianificare, programmare e controllare i processi dell’apprendimento. Esistono a questo fine molti programmi di trattamento che mirano a far ricordare, automatizzare e generalizzare ogni acquisizione trasferendola ad altri contesti meno familiari. Tuttavia i rapporti tra consapevolezza dell’esperienza e automatizzazione dei comportamenti sono complessi e variabili e non sempre l’automatizzazione di certe funzioni è un pre-requisito necessario per quelle più complesse (vedi il rapporto tra pre-requisiti della lettura e le comprensione di un testo).

Nelle strategie di recupero è fondamentale operare perché i due livelli, automatico e consapevole, cioè esecutivo e strategico, siano in equilibrio, evitando l’errore di insegnare competenze senza strategie o viceversa. Le prime vanno apprese attraverso una paziente pianificazione e imitazione di modelli. Poiché nel soggetto Down i problemi sono legati a un disturbo unitario dello sviluppo il processo riabilitativo deve essere globale e non sporadico e comprendere tutte le funzioni, tutte le espressioni del comportamento e tutto il mondo soggettivo.

Gli obiettivi principali del trattamento sono quelli di sollecitare i due grandi processi evolutivi compromessi od ostacolati dal ritardo mentale: quello dell’elaborazione sempre più astratta dell’esperienza verso i traguardi del pensiero logico e quello della costruzione di un mondo interno soggettivo distinto e contrapposto rispetto al mondo della realtà esterna e oggettiva.

Questi processi devono essere sollecitati con tecniche educative e rieducative, specifiche per ogni fascia di età e per ogni soggetto, tenendo conto che la riabilitazione ha come scopo principale il maggior recupero possibile dell’autonomia e dell’indipendenza, finalizzato alla massima integrazione sociale.