5. LA PRIMA COMUNICAZIONE 
AI GENITORI

COLOMBO LORENZO • VALLI BARBARA • CLERICI DONATA • MOSCA FABIO

Premessa

L’argomento “comunicazione della diagnosi” è molto complesso in quanto implica competenze che attingono oltre che alla medicina anche e soprattutto a un sapere umano (1).

Il medico infatti ha scelto una professione che implica di lenire il dolore e la sofferenza e con queste è obbligato a confrontarsi e coinvolgersi personalmente.

Comunicare ai genitori che il loro figlio è nato con una sindrome significa dare un dolore che, per alcuni medici, può apparire insopportabile (2).

Dovendo comunicare la diagnosi di una malattia per la quale possono essere necessari interventi assistenziali complessi per tutto l’arco della vita, inevitabilmente il pediatra dovrà confrontarsi con i propri valori personali, difficilmente modulabili o eliminabili nel corso di un colloquio. In conseguenza ne può derivare una tale ansia in colui che “deve comunicarla” da creare una barriera tra sé e i genitori, così che questi possano sentirsi abbandonati.

I genitori ricordano a distanza di anni le esatte parole del medico, il suo atteggiamento e le proprie reazioni. Tutti questi aspetti saranno ricordati per tutta la vita con disagio, rancore oppure con riconoscenza (3).

Da quella prima comunicazione i genitori ripartiranno mille volte per costruire la loro nuova identità, sia come individui sia come coppia.

Quelle prime parole saranno determinanti nell’evolversi del rapporto della coppia madrebambino. Infatti, come per ogni neonato, anche per il bambino con sindrome di Down la relazione precoce con la madre è di importanza vitale per il successivo sviluppo emotivo e intellettivo. È pertanto fondamentale per il benessere psicofisico di tutta la famiglia che l’ intervento del medico sia teso al favorire il legame madre - bambino (4).

Certo, dare una comunicazione comprensibile e sostenibile è un compito arduo; si richiede infatti ai genitori di “seppellire” tutte le aspettative riposte nel figlio atteso ed immaginato, bello, sano e intelligente.. .rimescolarle e ricostruirne una nuova immagine con nuovi e incerti orizzonti per il suo futuro.

Grande agitazione e sentimenti spesso contrastanti, con un misto di rabbia, solitudine, dolore, nonché la sensazione di essere diversi, inizieranno ad albergare nelle loro menti.

È come, per usare le parole di alcuni genitori intervistati nel bellissimo film “In viaggio senza valige”di Mirko Locatelli, essere partiti appunto per un viaggio senza bagagli o su un

treno verso una direzione diversa da quella attesa: “Un treno sbagliato, un aereo sbagliato, una destinazione imprevista; pensavi di avere le valige giuste con gli strumenti giusti e un biglietto con una meta stabilita, ma ti ritrovi in un paese sconosciuto, senza qualcuno che ti spieghi cosa occorre, che ti guidi in un percorso nuovo, inaspettato”(5).

i genitori hanno bisogno che il medico possa dare loro informazioni circa il nuovo percorso con immagini della nuova meta, e soprattutto consigliare loro con quali bagagli attrezzarsi.

Necessitano un’informazione esaustiva ma allo stesso sopportabile e data con quel calore umano e quella vicinanza emotiva che può far sentire loro che, pur in sentieri impervi, non sono soli.

In una recente indagine, solo il 50% dei genitori riferiva a posteriori di aver avvertito un supporto dal medico in occasione della diagnosi (6).

Come comunicare

Le modalità della comunicazione della diagnosi saranno tanto più adeguate quanto più il medico avrà informazioni sulle caratteristiche cliniche della sindrome, sul quel particolare bambino affetto da sD e infine sull’impatto che quel bambino potrà avere sul destino della sua famiglia. Dobbiamo infatti sempre tenere a mente che il bambino affetto da SD non coinciderà mai con la sua sindrome, essendo egli detentore di una propria individualità e storia personale unica. Prima della patologia c’è infatti il bambino e la sua famiglia: per questo è importante “prendersi cura” del nucleo famigliare, con un’attenzione al bambino e ai genitori nella loro globalità, prima di iniziare a “curare” il bambino, con i necessari interventi educativi e riabilitativi (7).

Ad esempio, è importante che il medico parli ai genitori delle modalità di accudimento più appropriate per il neonato, come l’allattamento, l’igiene del bambino, e incoraggi l’autonomia dei genitori in tal senso.

Quali gli ingredienti per una diagnosi sostenibile?

in primo luogo che i genitori possano avvertire empatia, cioè la capacità di “en-pathos”(soffrire insieme). È importante far sentire loro che non sono abbandonati al peso di una diagnosi “ verdetto” ma al contrario che sono accompagnati e sostenuti. Qualunque “zaino”, se condiviso, ha minor peso. La presenza fisica ed emozionale del medico è infatti fondamentale in un momento di così grande fragilità per i genitori.

Empatia è poi anche la capacità di accettare dentro di sé di indurre una sofferenza che è inevitabile, ma che col tempo potrà divenire affrontabile.

Per riuscire a intuire come i genitori percepiscano la realtà che gli viene prospettata e quali emozioni stiano provando, è necessario porsi in una posizione di ascolto e di accoglienza. Spesso i genitori hanno paura di porre domande ma allo stesso tempo desiderano sapere perchè riescano a formularle è necessario che respirino un’atmosfera di rispetto e comprensione (8).

L’empatia e le parole usate dal medico rappresenteranno inoltre un modello per i genitori a cui riferirsi nel dare la notizia di questa nascita agli altri.

Altri due ingredienti molto importanti nella comunicazione sono il tempo e lo spazio in cui avviene l’incontro.

Fa parte del rispetto verso i genitori trovare uno spazio privato in cui dare ai genitori la possibilità di esprimere emozioni e fare domande senza rischi di essere interrotti da estranei o da telefoni. Pur tuttavia è vero che i genitori sono disponibili a giustificare un contesto non ideale se il medico se ne scusa. È poi importante sentire che il tempo non è limitato, ma che il medico può stare con loro tutto il tempo necessario per questo primo incontro (9).

È inoltre bene convocare i genitori insieme per evitare di dare a uno dei due il compito penosissimo di comunicare la diagnosi all’altro. Spesso infatti i padri si ritrovano il compito di trasmettere una breve e secca diagnosi alla moglie, trovandosi a dover portare il carico di difficoltà emozionali del medico oltre che proprie.

Se invece i genitori avranno la notizia insieme e insieme faranno domande e avranno risposte, sarà più facile parlarne tra di loro in seguito.

È essenziale che il bambino sia presente per poterne mostrare ai genitori gli aspetti di bambino grazioso, come è generalmente un neonato con SD. L’essere affetto da SD infatti non costituisce che un attributo del neonato e non esclude assolutamente la possibilità per il lattante di essere bello ed amabile (7).

È importante riuscire a spostare il centro dell’attenzione, nelle informazioni date, dai problemi medici al bambino con tutte le sue abilità e le sue peculiarità.

Si suggerisce di parlare ai genitori al momento della diagnosi mentre uno dei due tiene il bambino in braccio e chiamandolo per nome.

È importante stimolare i genitori nell’osservazione del loro bambino, per cercare di capire di cosa possa aver bisogno. Si può dire loro che il bambino li aiuterà fungendo loro da guida col proprio comportamento(10-11).

Questo coinvolgere i genitori come veri esperti del bambino e non solo come recipienti passivi delle indicazioni del medico, svilupperà in loro quella competenza genitoriale fondamentale nel sostenere l’evoluzione del loro bambino, nel contrastare, per quanto possibile, la disabilità e soprattutto nell’ originare speranza (10).

Addentrandosi nei contenuti della diagnosi è auspicabile dire che, dopo un esame accurato, sono stati evidenziati degli elementi che fanno pensare alla Sindrome di Down, e chiedere ai genitori se sanno di che si tratta.

È bene evitare espressioni negative come “mi dispiace dovervi dire...” ecc.. Allo stesso tempo è importante evitare espressioni che possano essere percepite come una condanna o che possano far percepire la nascita del figlio malato come un errore che poteva essere evitato.

È importante usare parole semplici e lasciare molto spazio all’ascolto.

Tuttavia bisogna rinunciare all’idea che vi sia un “modo giusto” di comunicare per tutte le famiglie: ognuna di loro ha proprie reazioni e domande; solo una relazione di ascolto reciproco può rendere possibile capire e capirsi. Perché l’informazione sia comprensibile ed utilizzabile dai genitori deve infatti essere adeguata alle loro risorse ed esigenze informative, piuttosto che a quelle del medico (12).

È importante per esempio cercare di capire quanta “verità” siano in grado di tollerare e di accettare in quel momento, partendo sempre da ciò che già sanno e da ciò che pensano di voler sapere; non esiste infatti verità completamente priva di effetti collaterali ed è importante assicurarsi che la verità comunicata non risulti distruttiva o violenta.

Il fine non può essere solo quello di “spiegare” ma anche rendere possibile la comprensione di ciò che sta accadendo.

Quando i genitori chiedono al medico “la verità” essi soprattutto gli chiedono di potersi affidare e di non essere lasciati soli in questa dolorosa strada che si snoda tra l’esigenza di sapere e quella di rimanere all’oscuro.

La sola sicurezza da trasmettere ai genitori, infatti, è che sempre e comunque si evolva la situazione, il medico resterà al loro fianco e si adopererà al meglio delle proprie possibilità. Affrontare un orizzonte incerto e angosciante da soli è quanto di peggio una persona possa sopportare, mentre infondere la sicurezza di una condivisione alimenta la speranza dei genitori assai più di tutte le immaginarie certezze magiche o pseudoscientifiche esistenti.

se il piccolo con sD non è il primo nato il medico potrà suggerire ai genitori, appena ne saranno capaci, di parlare agli altri figli il più presto possibile, qualsiasi sia la loro età. infatti un bambino, anche piccolissimo, è in grado di captare un disagio familiare e a questo cercherà di dare interpretazioni. Se i genitori gli daranno spiegazioni in modo chiaro e semplice si eviteranno fantasmi complessi e dolorosi

Alla fine del colloquio può essere auspicabile offrire ai genitori la possibilità di essere lasciati soli per qualche tempo, così che possano condividere le proprie emozioni. I genitori sono grati al medico che permette loro questo momento di intimità (13).

Non tutto può, né deve, essere detto subito; la prima comunicazione è l’inizio di un percorso che si deve sviluppare nel tempo e per gradi, senza prescindere dalle turbolenze emozionali dei genitori.

È molto utile, quindi, convocare i genitori per un secondo colloquio a distanza più ravvicinata possibile per permettere loro di formulare domande e far emergere problemi a cui non avevano avuto modo di pensare durante il primo colloquio.

Tenendo sempre a mente che la diagnosi è un processo che occupa molto tempo, soprattutto nella mente dei genitori ma anche in quella del medico che li accompagna.

A questo proposito è importante che i genitori e il bambino vengano accompagnati durante tutta la degenza in Ospedale ma anche oltre: è fondamentale che essi si sentano sostenuti fino ad una presa in carico sicura ai servizi territoriali.

il neonatologo che ha preso in cura la famiglia durante la degenza ospedaliera dovrà infatti mettersi in contatto con il pediatra curante territoriale e, in caso di altre patologie presenti, con il centro specializzato di riferimento, al fine di creare una valida rete di cura.

È essenziale che in ogni punto nascita l’equipe sanitaria sia informata sulle risorse presenti sul territorio in grado di prendersi cura del bisogno delle famiglie con SD formulando un iter terapeutico e assistenziale corretto.

Tra le risorse accessibili alle famiglie con SD, le associazioni dei genitori si costituiscono sorgente di compagni di percorso, così preziosi in una strada spesso piena di solitudine.

In conclusione il modo con cui il medico comunica la diagnosi di SD appare determinante nel costruire o distruggere speranza per i genitori.

Tale speranza non riguarda in prima istanza la malattia del bambino, bensì il bambino stesso e la sua esistenza. Al di là dei limiti imposti dalla malattia, infatti, egli sarà comunque in grado di interagire con gli altri e di dare e ricevere emozioni.

Un medico che affronterà l’esperienza della nascita e dei primo tempi di vita di un bambino con SD insieme ai genitori comunicherà loro che questa nascita è affrontabile.

Il condividere il problema insieme ai genitori e il non abbandonarli con fughe o deleghe significherà per loro che la sindrome non è insormontabile e favorirà un primo legame col bambino. Permetterà di superare l’incistamento nel “cosa ha il mio bambino” coll’immaginare il “cosa fare” e il pensare per lui e con lui percorsi possibili.

Infine faciliterà il successivo contatto con altre figure familiari e professionali, dal momento che spesso i genitori di bambini con SD riescono con difficoltà a parlare della malattia del proprio bambino (14). Percorsi di formazione nel “counselling” si sono rivelati molto utili nel far acquisire ai medici delle capacità efficaci per informare i genitori in modo completo, comprensibile e sostenibile anche in situazioni di incertezza (15-16).