Breve introduzione all’educazione sessuale nell’adolescenza

La richiesta di interventi educativi rivolti ad adolescenti in merito all’infinito crogiulo della loro sessualità tesa tra emozioni, modi di pensare, bisogni di essere, capacità di desiderare e modi di godere, è in rialzo. A sollecitarli sono spesso insegnanti o genitori in difficoltà verso l’esplosione quasi epidemica delle nuove espressioni di varianza di genere dei loro allievi e figli. Gender fluid, Genderqueer, Agender, Bigender, Transgender, Greygender, Crossdresser, Drag Queen, Drag King, sono terminologie che, oltre ad indicare particolari posizioni assunte dall’adolescente rispetto al tradizionale binarismo di genere, incombono enigmaticamente su genitori disorientati. In questo confuso contesto di bisogni e aspettative accade pure che si confonda l’agire educativo con l’atto terapeutico. Si auspica che il primo operi anche nella direzione del secondo, ma è bene tenere distinti i campi. 


L’atto educativo origina nell’assumere sino in fondo la verità del sapere, ovvero il fatto che nessun sapere è nella condizione di dire tutta la verità. Il sapere dell’educatore ha una faglia, un vuoto, non è un tutto pieno, non è mai ciò che colma la mancanza, ma ciò che la produce e la preserva. Certo l’educando, quando già non risucchiato nel godimento del oggetto tecnologico o della sostanza, auspica che il sapere dell’educatore si travasi in lui, ma l’atto educativo non si risolve nel riempire un vuoto quanto piuttosto in un vuoto da aprire, perché il processo educativo è nel rendere il luogo del sapere un luogo della mancanza che permetta di aprire buchi nel discorso sessuale già costituito nella testa dell’adolescente. In assenza di questo movimento non si genera nulla di vivo, al contrario la faglia che attraversa il sapere dell’educatore crea una mancanza che traumatizza ogni discorso costituito. In ciò è la materia incandescente del processo educativo che non inquadra, non uniformizza, non produce allievi ma accende il desiderio di sapere, di andare oltre all’angolo cieco del proprio sapere. In questa accezione l’atto dell’educare non è inteso come mera esplicazione guidata di potenzialità già inscritte nell’adolescente, ma come movimento che sospinge, trascina l’educando sino a farlo divergere dal sentiero già tracciato delle sue conoscenze sessuali, per spingerlo verso l’inedita possibilità di decentrarsi dal proprio Io, dai suoi fantasmi di padronanza e aprirsi alla possibilità di fare esperienza della vita come apertura illimitata. È un auspicabile movimento di trascendenza dal sé che si oppone alla chiusura tipica del godimento otturante dei comportamenti di dipendenza, questo si necessitante di un intervento terapeutico. 


Definire il confine temporale dell’adolescenza non è un’operazione semplice. Se il suo esordio possiamo farlo coincidere con la pubertà fisiologica, il suo termine è quanto mai flessibile e, per certi versi, anche ambiguo. Per certo l’adolescenza è un’età critica, e a chi, esasperato da qualche sua eccessiva espressione, viene da domandarsi a che cosa serva si può rispondere che la sua ragione d’essere è consentire l’acquisizione dell’identità di persona (non solo quella sessuale), intesa nei termini di conquista di una rappresentazione di sé com’essere indipendente, con un proprio percorso di vita ed un senso di valore e unicità della propria personalità. Sperimentarsi com’essere sessuato, prendere decisioni che riguardano la propria sessualità ed imparare a relazionarsi in maniera sessuale contribuisce, appunto, alla formazione dell’identità di persona. La sessualità in adolescenza sembra pertanto essere, in linea generale, al servizio della costruzione dell’identità di persona. Per quanto lo sviluppo psicosessuale inizi molto prima dell’adolescenza, e la strutturazione dell’identità sessuale sia un processo che impegna l’intera esistenza, è nel periodo adolescenziale che il soggetto deve fare i conti con una maturata capacità sessuale e imparare a viverla in una relazione paritaria. È una faccenda complessa: da un lato si è chiamati ad accettare e integrare le nuove sensazioni genitali e a godere dell’esperienza sessuale, ma dall’altro bisogna imparare a controllare i propri impulsi e ad integrarli in una relazione affettiva rispettosa delle esigenze del partner. Ma non basta, infatti, è anche richiesta l’acquisizione della capacità di valutare le conseguenze del proprio comportamento, sia sul piano relazionale che riproduttivo. In questa prospettiva, la conquista della capacità sessuale, sperimentata all’interno del laboratorio adolescenziale, non è solo un compito evolutivo ma anche un’attività che espone l’adolescente a rischi gravosi, gravidi di conseguenze sul piano evolutivo e sul piano della realizzazione esistenziale che, a ragione, permette di definire l’agito sessuale dell’adolescente come comportamento potenzialmente “a rischio”. 


Molti fattori convergono nello spingere l’adolescente fuori casa, lontano dai genitori dell’infanzia: la sessualizzazione del corpo, la nuova forza muscolare, il bisogno di socializzare e il bisogno di conoscenza. Questi sono a ragione ritenuti i registi delle imprese degli adolescenti ma soprattutto rappresentano i motori che avviano il doloroso processo di ricontrattazione del potere all’interno della famiglia, d’eclissi dello splendore delle immagini idealizzate dei genitori dell’infanzia, d’abbandono degli inanimati, ma pieni di vitalità, utensili infantili con i quali si sono fatti veri e propri prodigi. Un’estesa trattazione di questi “motori” non compete l’attuale introduzione, tuttavia è utile una sottolineatura, soffermandosi maggiormente sulla “sessualizzazione del corpo”, per rischiarare lo scenario entro cui si dipana la vicenda sessuale e amorosa dell’adolescente. 

La sessualizzazione del corpo ovvero la maturazione sessuale, che si esprime attraverso la capacità d’eccitamento sessuale e di raggiungimento dell’orgasmo, e la sua rappresentazione mentale, che si esprime sotto forma di curiosità e desiderio sessuale, e la consapevolezza di essere divenuti capaci di generare, rivoluzionano drammaticamente la politica degli investimenti affettivi e relazionali. L’adolescente incomincia a guardare oltre le mura familiari. Il suo nuovo corpo richiede di essere portato fuori casa per entrare in contatto con il corpo del figlio di un’altra famiglia e con questi conoscere le promesse del nuovo desiderio. Per alcuni adolescenti non è però una faccenda così lineare, infatti, è proprio la forte marcatura esogamica della stimolo sessuale a suscitare una certa resistenza se non ostilità. Il nuovo corpo sessuale e i suoi desideri ingovernabili sono ritenuti essere i responsabili della rottura delle illusioni e delle appartenenze infantili. Non tutti gli adolescenti hanno voglia o sono pronti a piegarsi alle urgenti richieste di quest’invasore delle dolci consuetudini della nicchia affettiva primaria. Il nuovo desiderio porta quindi lontano e questo verosimilmente lo rende colpevole, poiché induce la rottura con la famiglia, conduce alla clandestinità, al segreto, al disinvestimento dalle figure tanto amate dell’infanzia per sostituirle con nuovi idoli che, per lo meno in apparenza, non hanno nessuna somiglianza con quelli antichi poiché sorti da nuovi bisogni. I vecchi genitori non sono più necessari: questa è la colpa del corpo sessuato. Il nuovo desiderio non spinge verso un corpo qualsiasi, anche quello più a portata di mano del papà o della mamma, con il quale vi è una consolidata consuetudine di vicinanza, ma proprio verso i corpi dei coetanei, probabilmente per un calcolo della specie che preferisce garantirsi la sopravvivenza inducendo l’accoppiamento tra i suoi membri più giovani. L’adolescente è in lutto poiché il nuovo corpo lo costringe a cercare fuori casa ciò che serve per la sua soddisfazione. Non è un compito spiacevole in sé ma certamente costringe a rinunciare, almeno in parte, alla conservazione dell’appartenenza infantile. Il rapporto dell’adolescente con il corpo è particolare, in nessun’altra epoca della vita accade di odiare ed amare il proprio corpo con passione così intensa. Il corpo è usato (inciso, tatuato, marchiato, dipinto e vestito) non per renderlo più gradevole e desiderabile (questo avverrà in un tempo successivo), ma per fini più narcisistici, nel senso che la sua manipolazione non sembra avere come meta l’amore di coppia, ma un referente più indefinito, ideale, fortemente investito nella mente dell’adolescente, cioè “gli altri”, la propria generazione. Tutto questo lavorio ha come fine la colonizzazione emotiva del proprio nuovo corpo e l’espressione, a beneficio dei colleghi coetanei, delle nascenti rappresentazioni del Sé, utilizzando appunto il linguaggio del corpo. 


Non potendo né volendo in questa introduzione considerare gli innumerevoli temi che costituiscono l’intrico dell’adolescenza va la pena però di dire, per ultimo, qualcosa sulla attuale cattiva fama dell’innamoramento presso gli adolescenti attuali. Si intravede nelle peripezie amorose degli adolescenti la paura dell’amore e quindi un certo tentativo di schivarne i pericoli e gli affanni. Probabilmente questo nuovo atteggiamento origina dagli attuali processi educativi e dalla nuova qualità affettiva della famiglia. Del resto è la famiglia l’ambito relazionale dove si è amati e si impara ad amare e farsi amare. Gli adolescenti di “una volta” non ci sembra avessero troppa paura dell’amore, anzi lo ricercavano attivamente e si dispiacevano se questo non arrivava con la sua passione violenta e i suoi patemi. Ora i ragazzi sembrano essere piuttosto guardinghi, non è infrequente sentirli pronunciare frasi come “è troppo presto per impegnarsi” e altre ancora che coprono inequivocabilmente la paura di immergersi nell’amore. Meglio studiare, godersi gli amici, rubacchiare un po’ di sesso senza impegno, fumarsi qualche spinello, insomma l’amore non sembra godere di eccelsa fama tra gli adolescenti attuali. È un atteggiamento curioso ed è stimolante cercare di capire perché questi ragazzi rifuggono l’amore che è una via, tra le poche disponibili, per regalare un senso alla vita. 

Perché ciò accada ha probabilmente a che fare con la spiccata fragilità narcisistica degli adolescenti attuali. Sono stati idolatrati, protetti dalle frustrazioni, amati per diritto e per statuto, sono vissuti in un contesto di diffuso e spesso acritico consenso, sono stati i gioielli scintillanti dei genitori anche quando, a ben guardare, si sarebbe potuto scorgere la ruggine. Giungono perciò agli appuntamenti adolescenziali impreparati ad affrontare le frustrazioni in generale e anche quelle amorose. Questi ragazzi così fragili sono poco propensi a rispondere con energia alle difficoltà proposte dal nuovo contesto socio relazionale che è così diverso da quello che hanno goduto durante l’infanzia. Ecco, allora, che gli abbandoni scolastici, l’uso di sostanze leggere, le imprese devianti ci parlano della spiccata fragilità narcisistica di questa generazione. Ciò che più conta, però, ai fini della comprensione degli aspetti che sostengono la tendenza degli adolescenti a licenziarsi dai compiti amorosi, è il risultato dell’idealizzazione amorosa associata alla fragilità narcisistica. I ragazzi si rendono conto di idealizzare molto l’oggetto d’amore. Nulla d’insolito: non c’è amore senza forti idealizzazioni del partner. L’idealizzazione, tuttavia, induce un’emorragia di valore necessaria per costruire un grande oggetto d’amore, in altri termini si può dire che l’innamoramento comporti uno svuotamento del Sé. Ciò può generare un sentimento di meschinità amorosa che nasce dai terrificanti confronti fra lo splendore dell’oggetto d’amore e la propria pochezza, figlia della nostra prodigalità al servizio dell’idealizzazione. Accade quindi che nei soggetti più fragili l’idealizzazione, parte invariante dell’amore adolescenziale, e il conseguente impoverimento del Sé, siano un’esperienza intollerabile. Da che cosa possa dipendere la difficoltà a tollerare un’esperienza fisiologica della vita amorosa è difficile dirlo, tuttavia, riteniamo che la famiglia affettiva possa rendere molto suscettibili i ragazzi all’esperienza di perdita di valore a vantaggio del proprio oggetto d’amore. Probabilmente, essere adorati da chi si ama, senza fare alcunchè per meritarselo, è un elemento che entra in gioco nella difficoltà ad amare, se l’amore fa sentire meschini. I genitori di questi adolescenti hanno, invece, vissuto esperienze affettive infantili molto diverse, e per loro l’aver trovato nell’amore fuori della famiglia quel clima d’umiliazione masochistica, di meschinità, di doversi accontentare della benevolenza del partner, significava rivivere pagine scelte dei primi amori domestici, tutti intrisi di brucianti umiliazioni narcisistiche. Sentirsi di valere poco faceva pertanto parte integrante dell’esperienza amorosa e non faceva quindi paura. I ragazzi d’oggi vogliono invece essere ben sicuri di essere adorati e se s’innamorano si appassionano più alla passione dell’altro che non all’altro. In questi casi si rifugge l’amore o se si è già preda dell’innamoramento bisogna dimettersi da questo nell’attesa che si rinforzi un po’ il sé e si diventi così in grado di tollerare il confronto con il proprio doppio senza soccombere alla sensazione della propria meschinità e morire di invidia nel contemplare la sua perfezione e bellezza. 

Un altro motivo di disimpegno dalla coppia, che s’intravede nelle trame amorose adolescenziali, è la paura della dipendenza mentale. Un tempo, la schiavitù amorosa era ambita dagli adolescenti. Essere mentalmente dominati dalla rappresentazione del proprio oggetto d’amore ed essere così costretti a pensarci in continuazione era un serio indizio che l’amore era sopraggiunto ed era valutata un’esperienza buona. Schivare la compagnia cercando la solitudine per meglio gustarsi l’immagine dell’amato stabilmente insediatasi nella mente poteva anche provocare dolore ma era anche festeggiato come l’ingresso in altri pensieri che non fossero quelli aventi per oggetto le trame affettive infantili. L’innamoramento era, infatti, un segnale della liberazione dal dominio delle immagini familiari. Non a caso il primo amore era tenuto sempre un po’ segreto poiché conteneva quest’aspetto eversivo. Oggi, l’atteggiamento degli adolescenti verso il vissuto di dominazione mentale da parte del proprio oggetto d’amore non ha buona fama e per alcuni di loro è certamente da rifuggire. Per questi ragazzi la rappresentazione mentale dell’amata è un nemico, e non una bell’invenzione dell’amore che li accompagna nella vita. Accade spesso che siano innamorati della propria partner e apprezzino la sua compagnia, ma non tollerino assolutamente la presenza della sua immagine nella loro mente quando lei è fisicamente assente, questo li fa sentire troppo invischiati in una relazione. Probabilmente a quest’età non possono permettersi di vedere crescere nella propria mente l’immagine di una persona che chiede grand’attenzione poiché la loro autonomia, appena conquistata, è ancora fragile e richiede molte cure. Alla luce di questa dinamica si può azzardare che l’atteggiamento verso la coppia, di almeno una parte degli adolescenti, sia mutato: la coppia è ancora utile e ambita per realizzare la crescita ma non è un passaggio obbligatorio, almeno nei primi anni dell’adolescenza. 


Ecco tratteggiate solo alcune criticità di quel magma che è la terra di mezzo dell’adolescenza. Ma questo poco mi auguro possa aiutare a dare valore a chi sul campo opera per educare nel tentativo di contagiare i nuovi figli del nostro tempo con la testimonianza del proprio desiderio al fine di stanarli, di farli aprire, di illuminare l’angolo cieco del loro sapere adolescenziale ed aprirlo a nuovi orizzonti. 


Prof. Carlo Rosso Presidente Società Italiana di Psicopatologia Sessuale