2.4 L’abilità di problem solving Una prova a test è un classico esempio di applicazione del problem solving, vale a dire la capacità di affrontare un problema nella maniera più efficace. La capacità di risolvere problemi è uno degli aspetti dell’intelligenza che più hanno interessato le ricerche della psicologia. Secondo la definizione dello psicologo statunitense Robert M. Gagné, il problem solving è un processo che porta alla scoperta di «una nuova combinazione di regole già note, applicabili, se rielaborate, a una situazione problematica, per individuarne la soluzione». Secondo gli psicologi della Gestalt, una scuola che, nella prima metà del secolo scorso si è occupata, in particolare, della percezione, un problema è costituito da più elementi in relazione tra loro, i quali formano una rete a prima vista indecifrabile. Si può arrivare alla soluzione solo individuando i rapporti tra gli elementi del problema in modo da averne una visione d’insieme. Obiettivo del solutore, di fronte alla complessità del problema, è quello di dipanare questa matassa, penetrarla in profondità e raggiungere la consapevolezza dei rapporti tra gli elementi. Raggiunta questa consapevolezza, il solutore diviene in grado di trasformare e ristrutturare i rapporti tra gli elementi del problema, riorganizzarli in un’ottica prima sconosciuta e trovare la chiave di lettura che può produrre una soluzione. Il problem solving è dunque il processo cognitivo che mettiamo in atto per escogitare una soluzione di fronte a una situazione problematica. Oggi questa funzione è affidata anche a meccanismi d’intelligenza artificiale, ma nel momento in cui ci sottoponiamo a una prova non possiamo contare nell’aiuto delle tecnologie ma solo sulle nostre capacità ovvero su quanto abbiamo appreso, vissuto, sperimentato ed elaborato nella nostra esperienza. Nel lavoro – e non solo – ci potremo trovare spesso nella necessità di dare la migliore risposta possibile a una situazione critica e il fatto di avere già vissuto questa esperienza non potrà che aiutarci. Nel momento in cui ci imbattiamo in una situazione problematica, cerchiamo di richiamare alla mente la regola o il principio che, in rapporto all’ipotesi scelta, può darci una certa garanzia di soluzione. Così facendo incorriamo nell’errore di credere che un problema possa essere risolto con un minimo di istruzione e di conoscenza di regole, senza renderci conto che la soluzione rappresenta soltanto il momento finale di una sequenza di operazioni mentali che riguardano tutta una serie di altri apprendimenti che devono averlo necessariamente preceduto. Il problem solving comporta quindi la combinazione di regole apprese in precedenza dopodiché la soluzione trovata può essere estesa anche ad altri problemi dello stesso tipo. Il problem solving si articola in cinque momenti: Comprensione: approccio al problema, per individuarne le componenti; Previsione: stima del tempo necessario per la risoluzione e scelta degli strumenti utili; Pianificazione: analisi dei dati già a disposizione; Monitoraggio: si valuta se siamo sulla strada giusta o sia il caso di tentare un diverso approccio; Valutazione: una volta risolto il problema si valuta come si possono ottimizzare tempi e prestazioni. Diversi studi teorici hanno affrontato questo concetto. Oltre agli studiosi di psicologia, che già a partire dai primi anni del secolo scorso hanno individuato dei meccanismi messi in atto dalla mente umana per la risoluzione di problemi di vario tipo, si sono interessati alla questione neurologi, fisici, matematici. Le tecniche del problem solving sono impiegate nell’ambito dell’ingegneria, della psicologia e sociologia, dagli adulti e dai bambini, nelle scuole o nelle aziende e persino nel tempo libero, dai giochi enigmistici ai moderni videogiochi che, al di là della funzione di divertenti passatempi, mettono alla prova l’intuizione e la creatività di bambini e adulti.