XIII PERCORSI INTERDISCIPLINARI Tutto ciò che abbiamo esposto sinora è di lunga e difficile assimilazione, me ne rendo conto. Padroneggiare uno strumento musicale è già cosa ardua, ma padroneggiarlo scegliendo di volta in volta quale tipo di musica fargli produrre lo è ancora di più: è evidente che eseguire un repertorio richiede grande perizia ma decisamente meno responsabilità. Si sarà soprattutto valutati per come e quanto si è aderito a una prassi, per l'interpretazione o, nel caso ad esempio del jazz, di quanto l'improvvisazione effettuata sia stata congrua a ciò che, nel corso dei decenni, è diventato un canone. Lo dimostra il fatto che il jazz è ormai largamente insegnato nei conservatori, al pari della musica colta. Un improvvisatore come lo intendo io è invece una persona che, di volta in volta, si prende l'assoluta responsabilità di ciò che fa (oltre che ovviamente di come lo realizza). Ci tengo a sottolineare che non c'è nessuna polemica nei confronti di chi suona Chopin o Monk (io stesso ho una formazione sia classica che jazzistica), è però altrettanto ovvio che sia Chopin che Monk si sono posti nei confronti di ciò che li ha preceduti con un atteggiamento artistico e non convenzionale, hanno cercato di innovare. Quindi per me l'improvvisatore è fondamentalmente un musicista che ha deciso di continuare la propria ricerca, non limitandosi a essere un professionista, ma sforzandosi di rimanere un artista. Lo dico perché spesso si fa confusione in quest'ambito: un professionista è un musicista che vive economicamente di attività musicali, un artista è un musicista che si approccia a ciò che fa privilegiando l'estro creativo e una ricerca personale. Le due figure possono coesistere, oppure no: ci sono ottimi professionisti che non sono artisti, grandi artisti che si guadagnano da vivere in altro modo e professionisti che dedicano parte dei loro progetti all'arte e parte a più vili questioni.