«Entrant in quadam civitate rex et regina» 166 Queste sono le parole che inaugurano la favola di cui cercherò ora di analizzare i due personaggi principali, secondo una lettura sonora e in una visione terapeutica. «C'erano una volta in una città un re e una regina, che avevano tre figlie bellissime…», delle tre figlie del re, la più giovane era di rara bellezza, così bella che Venere non poteva sopportare di essere detronizzata da lei. Nonostante la sua eccezionale bellezza o a causa di essa, Psiche, adorata e venerata da tutto il mondo, non riceve quasi mai proposte di matrimonio. E qui possiamo già capire la delusione della principessa. Suo padre si dispera ancora di più quando un oracolo divino profetizza un'unione funebre su una scogliera: quella di Psiche con un mostro malvagio, feroce e viperino, che d'ali andando per l'aria tutti molesta e col ferro e col fuoco tutti danneggia: Giove stesso ne trema, molto lo temono i numi, ne ha terrore persino il mondo infernale. 167 Questa immagine del dio dell'amore che, con il ferro delle sue frecce, è in grado di sottomettere persino gli dei, nel racconto viene invece interpretata come il mostro destinato a sposare la principessa, vendetta della dea Venere. «C'erano, in una certa città, un re e una regina.» 166. Apuleio (2007), …, op. cit., p. 25. 167. La favola di Éros e Psiche