CAPITOLO III

Giochi di parole

La fortezza era percorsa da gallerie scavate nella roccia, e sopra l’ingresso di ciascuna galleria c’era un cartello che diceva: TUTTO CIÒ CHE NON È PROIBITO È OBBLIGATORIO1.

La linguista Lera Boroditsky spiega come le parole che usiamo, la grammatica e la sintassi della lingua con la quale pensiamo, condizionino il nostro pensiero2. Siamo ciò che pensiamo, e pensiamo con le parole che usiamo. Il modo in cui si parla, i legami e le connessioni fra le parole, modellano la nostra mente. Per questo una grande rivoluzione di pensiero necessita per prima cosa di creare nuove parole e di abbandonare il linguaggio che veicola la vecchia ideologia.


Vivendo in una società giudicante, la maggior parte delle parole che si usano per descrivere il comportamento del bambino e la relazione con gli adulti veicola un giudizio. Buono, cattivo, bravo, obbediente, monello, furbo, educato, normale, capricci, vizi, “mi sfida”, sono tutte parole che includono un’idea su come il bambino (o a volte anche il genitore) dovrebbe essere, e rapportano il proprio figlio a questo ideale. Si focalizzano sul comportamento, ma non sulle cause di questo comportamento; sull’effetto che le sue azioni hanno sugli adulti e sulle loro emozioni, ma non sulle emozioni del bambino stesso. Il giudizio blocca la comprensione e resta in superficie, impedendo al genitore di empatizzare e di capire veramente il significato di ciò che il bambino esprime con un comportamento o un pianto. Questo tipo di linguaggio intossica la mente e il pensiero degli adulti, limitando il loro discernimento e la possibilità di connettersi davvero ai propri figli, e instilla preoccupazioni riguardo al giudizio sociale, forzandoli a conformare il loro bambino a un modello di “normalità” omologato al pensiero corrente.


Si dovrebbe sempre diffidare di tutti gli articoli o manualetti che spiegano come un bambino “dovrebbe” comportarsi, o dormire, o mangiare, o poppare, o parlare, e anche di quelli che spiegano come si “dovrebbe” fare i genitori. Guarda caso, la maggioranza dei bambini non si comporta come “dovrebbe”, a meno che non intervenga l’adulto a correggerli e modellarli... qualcosa non torna! E guarda caso, nessuna madre o padre spontaneamente farebbe certe cose, come lasciare piangere il bambino, non prenderlo in braccio, negargli il seno perché non è l’ora prevista, fingere di non capire se non pronuncia bene le parole, e così via, se non intervenissero gli esperti del momento a correggere quei genitori deboli e troppo indulgenti!


L’uso del verbo “dovere” deve quindi diventare per i genitori un segnale lampeggiante che invita a diffidare. Attenzione poi anche al verbo “potrebbe” o alle locuzioni come “fino a”: servono come “uscita di emergenza” dalla velleità appena affermata con il “dovrebbe” (che ha anche un opportuno condizionale). La traduzione è: Cari signori, sappiamo bene che quello che vi stiamo proponendo come normale è irrealistico, perciò mettiamo le mani avanti: certo alcuni bambini “riescono a dormire fino a...” e a tot mesi “potrebbero già dormire tot ore”... come dite? non lo fanno? Eh, ma noi abbiamo detto che potrebbero farlo, non vi abbiamo dato la garanzia! E comunque, vi abbiamo anche detto che “ogni bambino è diverso e il tuo avrà il suo ritmo”, quindi non prendetevela con noi!


Questo è linguaggio pubblicitario, da imbonitori che vogliono vendere un prodotto, vantando pregi inesistenti: “fino al 100% di macchie in meno” – “fino a 5.000 gigabyte di banda” – “biodegradabile fino all’80%”… sì, che bello, ma poi ti ritrovi con un bucato ugualmente sporco, un detersivo che inquina proprio come gli altri, e una connessione che va a manovella, perché ti hanno prospettato una possibilità massima, ma non ti dicono mai qual è la garanzia minima. Potrebbe arrivare al 100% di potere sbiancante, ma non è detto che lo faccia... e il bambino di quattro mesi potrebbe dormire ininterrottamente per otto ore, ma guarda caso, non lo fa quasi mai!