(nota del traduttore) La regola delle regole radurre questo libro ha costituito una sfida particolarmente interessante: non tanto perché è scritto da una donna e con una scrittura che direi “molto femminile” – ed evidentemente era mio compito tentare di renderla con un fraseggio italiano analogo –, ma soprattutto perché l’Autrice parla principalmente T di donne e a donne. Se prima di iniziare la lettura potevo temere di sentirmi rapidamente un intruso in una conversazione intima, lo scorrere delle pagine mi convinceva gradualmente del contrario: sulle prime mi ritenevo un fortunato carpitore di segreti trafugati a una disciplina dell’arcano; mano a mano invece che mi avvedevo di non essere affatto un estraneo, e anzi di come il testo si rivolgesse anche a me (in quanto uomo-maschio), perfino più spesso di quanto pensassi, apprezzavo maggiormente il valore e l’ambizione di questo agile opuscolo. I “tesori femminili” fanno parte infatti del nostro corredo universale, foss’anche “solo” perché tutti siamo stati gestati, partoriti, allattati ed educati (anche) da una madre: è evidente che gli uomini funzionino in modo molto diverso dalle donne, ma è pur sempre da queste che anche quelli mutuano la grammatica degli affetti, tanto rilevante pure nella percezione del sé. Anche per questo ho preferito rendere il titolo “ ” con “tesori femminili” anziché con l’ovvio “tesori di donna”: questo libro parla del mistero delle bambine e delle vecchiette, col quale noi padri, noi nipoti c’interfacciamo da sempre o da un certo momento della nostra vita; nell’aggettivo “femminile” c’è la radice latina di “ ”, che già gli autori latini classici usavano talvolta come sineddoche per “donna” … e tuttavia quel , da cui viene lo stesso “ ” francese, non indica solo le ben tornite cosce delle muse di Catullo, bensì anche le gambe infragilite e stanche delle donne in cui si è ormai esaurita la “vitalità ciclica”, ma che nondimeno hanno ancora un importante tratto di strada da percorrere. trésors de femme femur tout court femur femme Mentre ammiravo l’appassionante esposizione delle “ricchezze del ciclo femminile” (non a caso il secondo dei cinque capitoli consuma in sé mezzo libro) cominciavo a pormi un problema di resa: il francese non conosce l’espressione “avere il ciclo”, laddove in italiano le donne la adoperano comunemente intendendo “avere ”; per contro, la fase emorragica del ciclo (ossia le mestruazioni, appunto) viene espressa principalmente con due nomi – “les ”, naturalmente, e “les ”. Certamente qualche lettore dal vocabolario forbito osserverà che anche in italiano “avere le regole” significa “avere le mestruazioni”, ma mentre da noi l’espressione suona quantomeno letteraria, se non arcaica, Oltralpe essa è di uso comunissimo: si ricordi che nella sua celebre del 2013, , il cantante belga Stromae vi chiudeva l’orecchiabile ritornello («… »). le mestruazioni menstruations règles hit Tous les mêmes rendez-vous sûrement aux prochaines règles Che fare, dunque? Mi si poneva il problema, visto che l’Autrice alternava “ ” a “ ” – anche per introdurre una necessaria in certe pagine che altrimenti sarebbero risultate di pesante lettura –, e da una parte avrei voluto sostituire “ ” con un sinonimo italiano di “ ” che non suonasse poco comune… dall’altro, oltre all’insoddisfazione davanti alle parole che mi si candidavano alla mente, c’era anche da esprimere in qualche modo lo stupore per ciò che quel grande cumulo di osservazioni, consigli, norme e precetti dell’Autrice costituisce. Regole, appunto. Regole che richiedono una così meticolosa attenzione, sostenuta da una tanto intima e convinta adesione, da costituire in fondo una sorta di Regola: la “Regola delle regole”, e non a mo’ di superlativo, bensì di concretissimo complemento di specificazione. menstruations règles variatio règles mestruazioni L’idea mi sorrideva e, di più, mi solleticava, o dovrei dire che mi tentava? Il passaggio da una lingua all’altra stava ponendo le basi per un sovraccarico semantico rispetto al testo di partenza, e ciò mi avrebbe portato ad “arricchire” il testo d’arrivo con sfumature non presenti nell’originale – a un profano delle traduzioni può sembrare una cosa bella, ma non è affatto detto che sia così. Titubavo sul da farsi quando, negli ultimi paragrafi delle ultime pagine del libro ho scoperto con gioia che pure l’Autrice si è spinta a giocare sul doppio senso della parola “ ”: «Il ciclo le ha insegnato molto [alla donna], le ha dato – dice – delle “regole”». A questo punto non solo potevo, ma alternare anche in italiano “regole” a “mestruazioni”, o il di quella pagina finale sarebbe rimasto oscuro a molti, tanto più in una lingua che non usa comunemente le due parole come sinonimi, e dunque ho mantenuto (sia pure con minore frequenza) l’alternanza proposta dall’Autrice. règles dovevo calembour La cosa bella è che questo non rimane un mero , ma traspare in filigrana come proposta forte per la vita della donna… e della coppia! In altre parole: se una donna viene invitata a conoscere la propria fisionomia per comprendere “le stagioni” della propria personalità e per poterla così esprimere e sviluppare al meglio; all’uomo (soprattutto a chi una donna l’abbia sposata o la sposi) si propone di come , cioè come “legge della [propria] casa”. Egli comprenderà meglio la sua donna e insieme i due tenteranno di imprimere alla famiglia i ritmi del ciclo. jeu de mots adottare la “regola delle regole” oiko-nomia In un celebre “discorso agli sposi novelli” dell’11 marzo 1942, Pio XII sviluppava l’intuizione “la sposa e la madre è il sole della famiglia”, e lo faceva talvolta indulgendo alquanto a immagini angelicate che parafrasavano il dell’“angelo del focolare”: i fanno invece sì che nell’intuizione di papa Pacelli possano ritrovarsi ulteriori elementi di interesse. topos tesori femminili Al sole, infatti, e alla sua interazione con i parametri planetari, si devono le stagioni e i loro cicli, i quali producono il miracolo della vita e – se ben conosciuti, assecondati e “regolati” – portano al progresso della civiltà umana. Giovanni Marcotullio PS: Ringrazio moltissimo Rachele Sagramoso, che molte volte mi ha prevenuto dall’incappare in cattive traduzioni.