Per gran parte della storia dell’uomo (e prima della scrittura), lungo centinaia di migliaia di anni, le madri hanno
conciliato in modo efficace sonno condiviso e allattamento al seno per garantire alla prole l’immediato soddisfacimento di bisogni sociali, psicologici e
fisici. I piccoli d’uomo alla nascita sono più indifesi rispetto ai piccoli di qualsiasi altra specie. Che vengano al mondo in India o in Papua Nuova
Guinea, essi risulteranno particolarmente vulnerabili, lenti nello sviluppo e dipendenti dal contatto con i genitori, che ne garantiranno la sopravvivenza
portandoli e nutrendoli. Alla nascita la maggior parte dei mammiferi è dotata di un encefalo che raggiunge il 60-90% delle dimensioni da adulto. L’uomo,
alla nascita, ha un cervello pari al 25% delle dimensioni da adulto. Rispetto agli altri mammiferi, i piccoli d’uomo crescono più lentamente, permanendo
in uno stato di dipendenza biologica per il periodo più lungo. Per la loro immaturità essi risultano, almeno nei primi mesi di vita, incapaci di regolare
la propria temperatura corporea in modo efficace senza la vicinanza della madre, così come di produrre gli anticorpi, presenti nel latte materno, utili a
proteggerli da virus e batteri. I piccoli d’uomo non hanno il controllo degli intestini, non sono in grado di parlare, realizzare strumenti, digerire
molecole di grandi dimensioni, né camminare. Usando le parole dell’antropologo Ashley Montagu, i cuccioli d’uomo vivono una “esogestazione”: la loro
gestazione, cioè, si completa dopo la nascita, e necessita della presenza di qualcuno che vi contribuisca.