Quante volte, dopo aver sbottato con i nostri figli (o con i nostri genitori, o con i nostri colleghi…), ci
giustifichiamo dicendo: “mi ha fatto arrabbiare”. Questa frase è una grande impostura. In una stessa situazione una persona si arrabbia e un’altra no.
Perché?
Il motivo è semplice: la prima persona si è lasciata turbare dalle azioni o dalle parole del suo interlocutore; la seconda no. La differenza, di solito, dipende dal grado di attaccamento.
Facciamo un esempio. Un ragazzo, per strada, butta a terra una cartaccia. Un passante lo vede e pensa “che maleducato!”. Poi prosegue per la sua strada e dimentica l’episodio.
Ma se a vederlo è uno dei suoi genitori, si sentirà deluso, forse anche in colpa per non aver saputo educare meglio il ragazzo, oppure risentito per la sua mancanza di rispetto. Potrebbe pensarci per tutto il giorno e la sera, rientrato a casa, rimproverare il ragazzo dando inizio a una lite.
La differenza, in questi due casi, è che la prima persona non aveva nessun attaccamento nei confronti del ragazzo; mentre la seconda sì. L’attaccamento ci rende vulnerabili. Ma è possibile non essere attaccati ai nostri figli?
Dipende da cosa intendiamo per “attaccamento”. Della definizione buddista parleremo più avanti. Intanto esaminiamo un’altra possibile situazione: una mamma cuce una bambola per la sua bambina. Questa la lascia incustodita e il cane la prende. Inizia a giocarci e la danneggia. La mamma è molto intristita: aveva lavorato tanto e con tanto amore per realizzare quella bambola!
Il papà minimizza: è solo una bambola… ne compreremo un’altra.
Lei prova attaccamento nei confronti di questa bambola; per questo è triste nel vederla rovinata. A lui la bambola non interessa in particolar modo, quindi l’episodio non lo turba.
Ma il distacco è necessario non solo riguardo ai nostri figli o agli oggetti che possediamo (o che abbiamo realizzato, come nel caso della bambola cucita dalla mamma); il distacco che dovremmo riuscire a raggiungere è distacco dalle emozioni, dalle sensazioni. Solo in questo modo possiamo evitare di reagire in modo istintivo e attendere che la tempesta sia passata.
La nostra mente è come il cielo: a volte le nuvole ci impediscono di ammirarne la bellezza, ma queste non la intaccano minimamente. Se abbiamo la pazienza di aspettare che le nuvole passino e la fiducia nel fatto che, dietro a quella fitta coltre grigia, splende sempre il sole, vivremo con meno ansia le giornate nuvolose.