capitolo xx

Cos'è e come si raggiunge
il “non attaccamento”

Nei testi tradizionali del buddismo (come in quelli di molte filosofie orientali) si fa un gran parlare di “non attaccamento”. Un concetto che può risultare piuttosto difficile da afferrare.


Quando si parla di “non attaccamento” ci si riferisce a cose, persone, situazioni, opinioni… addirittura all’attaccamento alla vita.


Per quanto possa piacerci l’idea di vincere l’attaccamento nei confronti delle cose e delle situazioni, e persino quello alla vita stessa, può apparirci inconcepibile aspirare al non attaccamento alle opinioni, e soprattutto alle persone. In quanto genitori, staccarci emotivamente dai nostri figli potrebbe sembrare non solo impossibile, ma anche poco auspicabile. Per quale motivo dovremmo smettere di amarli?


Questo ragionamento si basa su alcuni errori fondamentali:

1. Confondere attaccamento e amore

Attaccamento significa volere che l’oggetto del nostro amore stia vicino a noi, anche a costo di manipolarlo (consciamente o inconsciamente), auto-convincendoci che lo facciamo “per il suo bene”.


Amore, invece, significa lasciare andare. Significa desiderare la felicità dell’altro, anche se questa è indipendente dalla nostra (stavo per scrivere “a scapito della nostra”, ma l’affermazione sarebbe stata contraddittoria: se desideriamo davvero il bene dell’altro non possiamo non essere felici quando lo ottiene).


Belle parole, tutti le abbiamo lette, ascoltate o pronunciate almeno una volta nella vita. Tutti le condividiamo, almeno in teoria. Tutti siamo pronti a giurare che lasceremo liberi i nostri figli di fare le loro scelte senza tentare di trattenerli o di influenzarli. Un po’ più difficile è “lasciar andare” una persona di cui siamo innamorati, o continuare ad amare qualcuno che ci ha delusi, per il semplice fatto di non aver soddisfatto le nostre aspettative.


Quando amiamo qualcuno, lo appoggiamo, lo sosteniamo, lo aiutiamo nei momenti di difficoltà. E ci aspettiamo che questa persona faccia lo stesso quando saremo noi ad avere bisogno; se questo non avviene, ci sentiamo traditi, delusi, offesi. E, convinti di aver ragione, possiamo arrivare fino a decidere di negare a questa persona la nostra amicizia.


Dove è finito tutto il nostro amore? Quel sentimento disinteressato che porta a fare del bene senza aspettarsi nulla in cambio?


Se non riscuotiamo ciò che (secondo noi) l’altro ci deve, questo “amore” svanisce come per magia. La verità è che non si trattava di amore, ma di convenienza. E non uso questo termine in senso negativo. Si trattava di un rapporto che faceva stare bene entrambi, quindi positivo per entrambi; nel momento in cui la persona non ci dà più quello che noi ci aspettiamo (o addirittura pretendiamo) smettiamo di “amarla”.


A molti questo sembrerà logico, addirittura giusto, anche perché il confine tra amare incondizionatamente e diventare un “tappetino” è davvero difficile da definire. Ma se iniziate a rifletterci, con il passare del tempo vi accorgerete che questo concetto apre una breccia nel vostro cuore, e vi scoprirete capaci di amare anche chi vi fa soffrire, intenzionalmente o meno.


Ora vi starete chiedendo perché mai dovreste amare chi vi fa soffrire. La ragione è molto semplice e possiamo anche considerarla da un punto di vista puramente egoistico: odiare fa star male, amare fa star bene.


E voi, come volete sentirvi? Io bene, grazie.