Da qualche anno a questa parte in Francia la sculacciata è diventata illegale. La notizia, ai tempi, ha
suscitato reazioni controverse nei Paesi vicini. Se è vero che una sculacciata non ha mai ucciso nessuno, nemmeno l’evasione fiscale, la violenza
carnale o il furto con scasso ha mai ucciso nessuno. Certo, alcuni di questi reati possono finire male, ma lo stupro in sé non è letale, e il furto
nemmeno. Eppure non ci sogneremmo mai di dire che, siccome questi reati non sono mortali, non dovrebbero essere puniti dalla legge.
Certo, una sculacciata può scappare, come un pugno in faccia al tizio che corteggia la tua fidanzata. Ma non per questo è giusto. Non per questo è inoffensivo. Diciamoci la verità: la sculacciata, come ogni altra forma di violenza, è la reazione di un essere umano di fronte alla propria incapacità di comunicare in modo efficace ciò che ha da trasmettere. È uno scivolone, un fallimento. No, non ha mai ucciso nessuno, e se vi è capitato occasionalmente di sculacciare vostro figlio, sappiate che crescerà bene lo stesso. Nonostante le sculacciate e non grazie a esse.
Ma non sarebbe meglio se riuscissimo a trovare il modo per evitare di arrivare a tanto? Se riuscissimo a mantenere la calma e il sangue freddo anche durante i litigi con i nostri figli? Pensateci bene: come vi sentite dopo aver sculacciato vostro figlio? Sicuramente non bene. Quando ci innervosiamo l’amigdala produce adrenalina e cortisolo. Questi innescano un corto circuito che è difficile bloccare, e che può sfociare in un atto violento.
Ma questi due ormoni hanno un nemico capace di bloccarli e annientarli, rispedendoli da dove sono venuti e risparmiandoci gesti dei quali ci pentiremmo. Si tratta dell’ossitocina, l’ormone della felicità, quello che viene prodotto dal corpo quando siamo innamorati, ma anche durante il parto, quando ci prepariamo ad accogliere quello che diventerà l’essere più importante della nostra vita. Quello stesso esserino sul quale, proprio ora, siamo pronti ad alzare le mani. Come è possibile? Dove è finito tutto quell’amore?
L’amore è sempre presente, ma la nostra mente è offuscata dai due ormoni sguinzagliati dalla collera. Come fare il pieno di ossitocina in un momento in cui ne abbiamo tanto bisogno? La risposta è tanto semplice da essere banale. Il contatto fisico con una persona che amiamo stimola la produzione di ossitocina. Ovviamente il contatto dovrà essere affettuoso (una bella sculacciata non vale, e non funziona!). Il trucco sta nel riuscire a fermarsi: una semplice pausa, un bel respiro e un gesto, anche forzato. Potreste prendere il vostro bambino tra le braccia o anche solo per mano. Se proprio non vi riesce, basterà rievocare un ricordo tenero. Nel giro di pochi secondi (7, per la precisione) l’ossitocina entra in circolo, la voglia di ricorrere alle mani svanisce e la possibilità di dialogo torna a essere un’opzione realistica.
Se uno dei genitori ha davvero perso la calma, l’altro può intervenire prendendolo tra le braccia. Parlatene prima, in modo che la persona interessata comprenda le motivazioni di questo gesto, e riproponetevi di intervenire in questo modo per placare i dissidi. Non dimenticate, poi, di includere nel vostro abbraccio anche il bambino: ora siete pronti per sedervi uno di fronte all’altro e discutere con calma. Se questo ancora non è possibile datevi appuntamento tra 5, 10, 15 minuti, o anche un’ora: il tempo va valutato in base all’età del bambino e alla gravità della situazione.
Ovviamente questi accorgimenti valgono anche in caso di conflitti tra adulti, e in particolare nella coppia. Quando vi sembra di non riuscire a controllarvi, non lasciate che la situazione degeneri: fare il pieno di ossitocina vi permetterà di ripartire con il piede giusto.
Lo so, la difficoltà più grande è proprio quella di fermarsi. Di riuscire a fare una pausa, a ritrovare il contatto con la realtà nel turbine del conflitto. Per quanto mi riguarda, la meditazione è stata la chiave per riuscire a intercettare le mie emozioni nel momento in cui si manifestano nel corpo, per imparare a identificarle e a non reagire immediatamente. In alternativa un intervento esterno può essere risolutivo (nel caso citato sopra, una terza persona che interviene per riportare la calma), a condizione che la persona arrabbiata sia disposta ad ascoltare questo segnale. Non significa cedere, ma prendersi una pausa per riflettere.
Quando siamo soggiogati dalla collera le nostre reazioni sono istintive. Quando invece ci prendiamo un attimo di tempo per riflettere non si tratta più di reazioni, ma di azioni. Azioni compiute deliberatamente e, oserei dire, liberamente. Incatenati dalla collera non siamo liberi di scegliere, di decidere in che modo reagiremo, ma veniamo trasportati da una corrente più forte di noi: proprio per questo diciamo o facciamo cose di cui poi ci pentiremo. La pausa ci permette di essere gli autori delle parole o delle azioni che seguiranno, e non semplici burattini manovrati dalla rabbia.
“Le tenebre non possono scacciare le tenebre. Solo la luce può farlo”, diceva Martin Luther King. Allo stesso modo l’aggressività non può scacciare l’aggressività. Solo l’amore può farlo. E il momento in cui è più difficile dargliene è quello in cui il nostro bambino (o il nostro partner, eccetera) ha maggiormente bisogno d’amore.