la parola agli esperti

Lo sviluppo psicomotorio del feto, 
un fenomeno relazionale

Ho chiesto al dottor Gherardo Rapisardi, neonatologo all’Ospedale Meyer di Firenze, di introdurre la sezione dedicata agli esperti parlandoci un po’ dello sviluppo psicomotorio, argomento a cui ha dedicato la maggior parte del suo lavoro e della sua ricerca: quando inizia nel bambino? Sentiamo cosa ha da dirci a questo riguardo la voce della scienza…


G.Rapisardi: Quando inizia lo sviluppo psicomotorio? La domanda non è affatto banale. Non certo alla nascita, come si pensava anni fa.


Fino agli anni Sessanta e Settanta molti sostenevano che il neonato fosse dotato di comportamenti ‘riflessi’, poco differenziati e senza una specifica funzione, che sarebbero poi gradualmente scomparsi lasciando il posto a comportamenti più raffinati e utili allo sviluppo del lattante. Solo pochi, e tra questi Adriano Milani Comparetti e Anna Gidoni a Firenze, già verso la fine degli anni Sessanta, avevano dato una diversa interpretazione del comportamento neonatale. Quelli che il neonato ci mostra non sono riflessi e tanto meno ‘arcaici’, ma comportamenti automatici dotati di una specifica funzione: funzioni servite al feto per spostarsi in utero e trovare la giusta presentazione per l’inizio del travaglio e partecipare poi attivamente al travaglio e al parto (la ‘marcia automatica’, i movimenti reciproco crociati degli arti, la spinta, lo strisciamento, le rotazioni del tronco…) e funzioni che iniziano a manifestarsi alla nascita, necessarie per la sopravvivenza (la respirazione, l’alimentazione autonoma, ma anche l’afferramento con la mano, o ‘grasp’, per mantenere la postura in uno spazio completamente nuovo, senza più un confine e contenimento e con una nuova forza di gravità).


Il neonato quindi ha già una lunga storia alle spalle, un lungo percorso di sviluppo che forse è molto più ricco, complesso e rilevante di quello che si pensava un tempo.


A partire dalla seconda metà degli anni Settanta l’uso dell’ecografia ha dato la possibilità di svelare aspetti della vita fetale che fino ad allora erano solo immaginati o supposti. Oltre a confermare che il feto è dotato di comportamenti molto raffinati, che hanno un significato funzionale, è stato possibile studiare a fondo come si sviluppano la motricità e il comportamento prima della nascita. Sorprendentemente è stato visto che lo sviluppo motorio è molto precoce e che tutti i singoli movimenti (moduli motori) sono già presenti entro la metà della gravidanza. Molto precocemente si sviluppano anche delle funzioni motorie, come lo spostarsi in utero, rotolarsi, andare a toccare ed esplorare con le mani l’ambiente e il proprio corpo. Ed è apparso evidente che quando il feto diventa neonato deve riadattarsi completamente a un ambiente nuovo, perdere funzioni sviluppate in utero, riadattarne alcune al nuovo ambiente e svilupparne di nuove, per cui nei primi due-tre mesi sarà meno competente di quanto lo fosse prima della nascita.


La scoperta della vita fetale a partire dalla fine degli anni Settanta ha portato a nuove riflessioni, pensieri e teorie in molti campi, dalla medicina, alla biologia, alla psicologia e alla filosofia.


E.Balsamo: Questo discorso è molto interessante; è possibile approfondirlo un po’, specialmente per quanto concerne gli aspetti relazionali?


G.R.: Lo sviluppo psicomotorio inizia almeno con lo sviluppo neurologico, quindi dalle prime settimane di vita intrauterina. Ma forse anche questa non è una risposta del tutto soddisfacente.


Fin da età molto precoci, l’essere umano è dotato di funzioni motorie, sensoriali e comportamentali che lo rendono perfettamente adattato a un particolare momento del suo sviluppo. Per comprenderne lo sviluppo, già l’embrione e il feto vanno visti non come essere immaturi, bensì come dotati di crescenti abilità, individui in cui la selezione della specie ha reso funzionali le competenze più idonee a risolvere i principali problemi ambientali di quelle specifiche epoche della vita.


Individui che si sviluppano in quanto parte di una relazione. Lo sviluppo neurologico è infatti un fenomeno relazionale, dove il potenziale genetico si esplica adattandosi continuamente all’ambiente fisico, psichico e sociale che lo circonda. Fin dalle primissime fasi lo sviluppo del sistema nervoso non avviene per risposte a stimoli esterni, bensì per progressiva maturazione di meccanismi e funzioni che partono autonomamente dal suo interno (endogenamente generate), che devono adattarsi alle esperienze ambientali che incontrano e da queste potranno essre sostenuti e promossi, ma anche disturbati (acquisizioni epigenetiche). Determinanti nello sviluppo del bambino fin da precocissime età sono gli aspetti qualitativi della relazione con l’adulto che si prende cura di lui, in primis la madre.


Lo sviluppo del bambino non ha bisogno quindi di ‘tanti stimoli’, come oggi spesso si sente impropriamente dire, ma di proposte di esperienze che rispondano ai suoi bisogni fisiologici e che siano interessanti per lui, meglio ancora appassionanti. È il modo in cui le esperienze vengono emotivamente e affettivamente ricercate, percepite e vissute che è determinante per lo sviluppo.


E.B.: È esattamente ciò che sosteneva Maria Montessori! Ma andiamo avanti…


G.R.: Lo sviluppo psicomotorio infatti è motivato da proposività, intenzionalità e condivisione di significato, la cui spinta innata è sostenuta dalla qualità delle relazioni e delle emozioni.


Milani Comparetti agli inizi degli anni Ottanta scriveva:


…questa qualità propositiva vivente comprende una qualità creativa di se stesso e dei propri rapporti col mondo. Vi è quindi una progettualità dell’individuo che parte da una primordiale intenzione vitale dell’essere biologico e della sua dimensione psichica e relazionale…risolvere problemi, esplorare, confrontare i propri parametri con le afferenze ambientali, sperimentare, scegliere, apprendere, elaborare, pensare, porsi problemi, desiderare, inventare, immaginare, mettersi in rapporto con gli altri e partecipare, creare e procreare: tutto è attivo e iniziativa individuale.


Il feto e il neonato quindi, e come vedremo anche il nato pretermine, vanno considerati come individui che esprimono nei loro comportamenti il massimo di autonomia possibile per ciascun momento considerato e non come portatori di carenze da colmare. Individui con dei bisogni specifici, che vanno rispettati e soddisfatti per promuovere al meglio lo sviluppo.


E.B.: Ci puoi dire qualcosa di più specifico sulla comunicazione mamma-bambino?


G.R.: Sappiamo oggi che la comunicazione tra la madre e il proprio bambino è presente almeno dal concepimento. Ma anche da un tempo precedente, dato che il desiderio, l’immaginazione, le fantasie, le paure, i timori, i progetti, le attese dei genitori verso il bambino ancora non reale datano già da molto tempo prima e costituiranno parte integrante del terreno di affetti e relazioni in cui il bambino si svilupperà fin dal concepimento. Certamente la relazione tra madre e feto si basa su aspetti psicofisici e biologici molto diversi da quella tra madre e neonato. La madre è il medium di tutti gli elementi dell’ambiente che circondano il feto, a differenza del neonato che avrà relazioni dirette con un ambiente ben più ampio e diversificato.


Il feto possiede competenze motorie, sensoriali e comportamentali che lo rendono un partecipante attivo della relazione con il mondo che lo circonda. Nel terzo trimestre di gravidanza in particolare è in grado per esempio di dimostrare un’attenzione e responsività nei giochi tattili con i genitori, rispondendo con un pari numero di calcetti a un certo numero di piccoli colpi delle dita sull’addome materno, oppure seguendo con i suoi arti il percorso del dito del genitore sull’addome della madre.


Ed è sensibile agli stati emotivi materni. Intensi turbamenti emotivi possono essere seguiti da alcune ore di immobilità del feto o di agitazione motoria. Se la situazione di stress materno persiste nel tempo, l’eccitazione motoria fetale diventa un tratto stabile e talvolta può anche accompagnarsi a un disturbo dello scambio tra placenta e feto, risultando in un basso peso alla nascita. La presenza prolungata di elementi stressanti che comportino una continua minaccia per la sicurezza emotiva della madre, tensioni continue e imprevedibili sulle quali essa sente di avere poche o nulle possibilità di controllo, incluse quelle coniugali, costituiscono fattori potenzialmente disturbanti dello sviluppo psicomotorio fetale.


I figli di madri che hanno avuto gravidanze con uno stress cronico o grave (per lutti, gravi malattie di familiari, patolgie della gravidanza etc.) nei primi mesi di vita hanno maggiore incidenza di disturbi come coliche, rigurgiti e vomiti, scoppi improvvisi di pianto, difficoltà a consolarsi, possibili conseguenze di una maturazione del Sistema Nervoso Centrale fetale più difficoltosa.


Il legame tra madre e feto sembra non dipendere solo dalla percezione fisica del feto, ma dal coinvolgimento psicologico da parte della madre che viene messo in atto sin dal concepimento. Con il trascorrere della gravidanza la madre percepisce sempre di più il feto, intensificando il legame di attaccamento. Fattori psicosociali, emotivi, affettivi, vissuti dalla madre durante la gestazione influenzano la relazione madre-bambino, creando delle tracce mnestiche che si conserveranno intatte nella psiche del bambino e quindi dell’adulto.


Già negli anni Sessanta era stato dimostrato come l’atteggiamento della gestante verso la gravidanza fosse in relazione con caratteristiche di personalità del bambino. La non accettazione della gravidanza e del feto da parte della madre correla con un comportamento di tipo deviante o patologico nei bambini. Così come l’atteggiamento paterno di non accettazione può interferire con il vissuto materno rispetto al feto e alla gravidanza.


D’altra parte è anche vero che lo sviluppo neurologico fetale viene disturbato solo in situazioni importanti di sofferenza o franca patologia materna, e che fortunatamente le possibilità di recupero e successive modifiche sono moltissime.


Abbiamo visto fattori potenzialmente disturbanti dello sviluppo fetale e come sempre questo tipo di studi in letteratura sono più numerosi di quelli sui fattori che promuovono la salute e il benessere psicofisico.


Il benessere è molto di più della mancanza di problemi o sofferenze. Sentirsi bene con se stessi, pieni di energie positive e di fiducia nelle proprie competenze e capacità e in quelle del nascituro nell’affrontare il percorso della maternità, sono aspetti rilevanti per lo sviluppo fetale e che troppo spesso noi operatori non consideriamo nel giusto modo, dimenticandoci di quanto possiamo essere generatori di salute, non solo cercando di diagnosticare e curare possibili disturbi, ma diventando promotori attivi di benessere.


Tutto ciò che sostiene, aiuta e promuove lo stato di benessere materno e genitoriale, fisico, psichico e sociale ha effetti positivi per lo sviluppo psicofisico e relazionale del feto. Una madre che, grazie alla propria storia pregressa e alle esperienze emotive, affettive e sociali che sta vivendo, si trova in una situazione che sostiene e promuove la propria fiducia nelle capacità di generare e crescere il proprio cucciolo, costituisce l’ambiente ideale per lo sviluppo psicomotorio fetale.


Ciò ci aiuterà a comprendere come le relazioni che circondano un nato pretermine influenzino profondamente il suo adattamento al mondo esterno e il suo sviluppo a breve e lungo termine.


L’unione e il legame affettivo che distinguono la relazione primaria tra madre e figlio maturano nella fase prenatale e si consolidano, anche grazie alle molteplici competenze del feto e del neonato, dopo la nascita, continuando ad accompagnare l’individuo per tutta la vita e andando a costituire il terreno in cui nascerà e crescerà una nuova vita.


Lo sviluppo psicomotorio è così un ciclo continuo e come per il ciclo vitale non possiamo stabilirne un momento di inizio.


E.B.: E quando la nascita avviene prima del termine?


G.R.: Quando la nascita avviene prima del termine di quel delicato, complesso e affascinante processo di sviluppo che sta avvenendo nel feto in utero, l’ambiente e le esperienze a cui il nato pretermine viene esposto inevitabilmente vanno contro le aspettative biologiche del feto e possono interferire in vario modo sullo sviluppo del suo sistema nervoso.


L’ambiente della terapia intensiva o subintensiva neonatale e le necessarie cure a cui deve essere sottoposto sono delle fonti di stress. Inoltre la nascita pretermine costituisce un’inevitabile frattura e ferita nello sviluppo relazionale, spesso improvvisa e scioccante, con inevitabili preoccupazioni nei genitori e quindi un’ulteriore fonte di possibile disturbo nello sviluppo psicomotorio del nuovo nato.


E.B.: Puoi dirci com’è cambiata l’assistenza ai neonati pretermine negli ultimi 30-40 anni? Quali sono state le innovazioni principali nell’ambito della care neonatale?


G.R.: La terapia intensiva del neonato vede i suoi albori verso la fine degli anni Sessanta con l’applicazione delle modalità assistenziali delle terapie intensive dell’adulto e del bambino più grande, ignorando i delicati processi di sviluppo neurologico e le sue principali determinanti, che erano ben poco conosciute.


Solo nel corso degli anni Settanta si è cominciato a riconoscere l’importanza dell’ambiente e della presenza dei genitori per lo sviluppo del neonato ricoverato in una TIN e si è cominciato a parlare di Care, quell’insieme delle pratiche assistenziali che possono proteggere, sostenere e promuovere lo sviluppo del pretermine.


Fondamentale in questo senso è stato il lavoro pionieristico di H. Als di Boston, USA, che, a partire dagli inizi degli anni Ottanta, ha promosso un profondo cambiamento nelle modalità assistenziali nelle TIN. La sua proposta si è tradotta in una modalità di intervento che, rispondendo alle esigenze funzionali e contestuali relative al livello maturativo del neonato, è volta a favorirne l’armonica esplicazione del potenziale di crescita e di sviluppo. Inizialmente centrata sulla personalizzazione dell’intervento in base alla fase del suo sviluppo (Individualized Developmental Care), è andata via via arricchendosi con il riconoscimento del ruolo fondamentale del coinvolgimento dei genitori e dell’attenzione a tutte le relazioni che si svolgono in una TIN (Individualized, Relationship based and Family Centered, Devlopmental Care).


Lo strumento per applicare tale intervento assistenziale è il NIDCAP (Newborn Individualized Developmental Care and Assessment Program), che si articola in tre fasi: a) osservazione del micro e macro ambiente e del comportamento del neonato prima, durante e dopo una manovra assistenziale, rilevando i segnali di stabilità e quelli di stress, b) interpretazione delle informazioni raccolte, individuando le aree di maturazione o disorganizzazione delle funzioni neonatali, analizzando anche l’influenza degli operatori e dell’ambiente sul benessere del neonato, c) programmazione dell’assistenza personalizzata, individuando le modificazioni ambientali, le modalità di assistenza e le facilitazioni che riducono al minimo lo stress, promuovono al massimo il benessere e lo sviluppo del neonato, prevedendo il sostegno e il coinvolgimento attivo dei genitori. L’obiettivo è quello di sostenere e promuovere al massimo grado lo sviluppo e la salute fisica, mentale ed emotiva dei nati pretermine e di quelli con fattori di rischio per patologia medica.


Questo tipo di assistenza sostiene e promuove lo sviluppo neurologico e psicomotorio del nato molto pretermine, cercando di favorire quelle determinanti dello sviluppo del SNC descritte in precedenza. Una vera e propria “Brain Care”.


Vi sono evidenze sugli effetti positivi di queste modalità assistenziali sulla riduzione della patologia polmonare cronica e della enterocolite necrotizzante, sulla maggiore fiducia dei genitori in termini di vissuto e di competenze, e un lieve effetto positivo nello sviluppo neurologico a breve e lungo termine. Alcuni studi mostrano anche dei chiari effetti positivi sullo sviluppo della struttura cerebrale del pretermine, sia a breve che a lungo termine.


E.B.: Puoi dirci quali sono gli aspetti essenziali dell’approccio di Care allo sviluppo del neonato, personalizzato e centrato sulla famiglia?


G.R.: Sono costituiti da:


- una buona organizzazione del lavoro del reparto (livelli di responsabilità – regole chiare e condivise – lavoro in gruppo – mantenimento nel tempo delle modalità assistenziali);


- un ambiente a misura di nato pretermine (microambiente e macroambiente);


- modalità di accudimento volte alla diminuzione dei comportamenti di stress e al sostegno e promozione di quelli di autoregolazione;


- la prosecuzione della Developmental Care almeno fino a 6 mesi di età corretta;


- il coinvolgimento attivo e il sostegno dei genitori