Osteopatia e traumi della nascita

Ho incontrato Giovanna Ghezzi nel suo studio di San Lazzaro una mattina d’aprile: con i suoi modi aperti e gioviali mi ha subito accolto con calore e invitato ad assistere a una seduta di osteopatia su una neonata di pochi giorni. Sono rimasta affascinata nel vedere le reazioni della piccola al trattamento: i movimenti lenti che compiva che ricordavano quelli del parto, il senso di rilassamento che ha pervaso all’istante il suo corpicino e il sorriso che le ha illuminato il volto…


Non avevo mai visto nulla di simile… Così mi è venuta voglia di saperne di più e ho chiesto a Giovanna di raccontarmi un po’ di quest’arte, che lei ha messo con grande maestria a servizio dei piccolissimi, e del suo percorso per arrivarci. Ecco cosa è venuto fuori dalla nostra conversazione.


G.Ghezzi: Per me è un grande stimolo e una grande occasione provare a esprimere le emozioni che mi suscita il lavoro con i bambini, il contatto con gli “addetti ai lavori” e i genitori che sono coinvolti nell’evento-nascita: un evento, a mio parere, ancora troppo “mal-trattato”.


Sono fisioterapista e dal 1999 diplomata in osteopatia. Da diverso tempo mi occupo quasi esclusivamente di osteopatia in ambito pediatrico: in particolare seguo le donne in gravidanza e i neonati, mia vera fonte d’ispirazione.


Ecco, potrei proprio definirmi un’osteopata “a misura di neonato”. È con loro infatti che esprimo al massimo le mie qualità e potenzialità come terapeuta; è una scelta reciproca, un’intesa sottile, una scintilla che scocca quasi sempre nei primissimi momenti dei nostri incontri in studio. Prima di entrare nel vero trattamento dove appoggio le mani su di loro, l’intesa deve già esserci: mi lascio “sentire” dai bambini, percepire e soprattutto scegliere; solo quando mi hanno scelto so che avrò il loro permesso a farsi trattare.


Intanto ho il tempo di ascoltare i genitori da cui mi faccio raccontare sempre la dinamica del parto, essenziale per la comprensione della problematica in atto.


Quello che tanti (e per tanti intendo anche gli operatori: ginecologi, pediatri, ostetriche, non solo i genitori che a volte sono alla loro prima esperienza e avrebbero solo bisogno di un po’ di incoraggiamento e sano accompagnamento) non sanno o che faticano ad accettare è che il modo con cui accogliamo i nostri figli nel momento in cui si affacciano alla vita condiziona enormemente il loro futuro, nel senso che la prima impressione che si fanno dell’esperienza che vivono in gravidanza, in travaglio e poi delle persone che li accudiscono è determinante nella formazione del loro carattere e nella modalità con cui affronteranno le prime difficoltà della vita.


E.Balsamo: Concordo perfettamente con te! Questo ritengo sia un punto fondamentale da diffondere sempre più: ne ho anch’io la conferma continua nella mia pratica quotidiana con i bambini e le famiglie.


Se riuscissimo a modificare le modalità della nascita e dell’accoglienza al neonato avremmo veramente risolto la maggior parte dei problemi dei bambini e dei futuri adulti…


G.G.: Già! Troppi interventi sui parti e sulle gravidanze fanno sì che ci si allontani sempre di più dallo svolgimento naturale della nascita, con conseguenze non solo sul piano fisico (che per noi osteopati si traducono in quelle che chiamiamo “lesioni membranose”) ma soprattutto, ed è qui la cosa essenziale non ancora accettata, sul piano emozionale!


Un bambino che piange sempre o che non dorme, non fa “capricci” e non è “furbo”, sta solo cercando di comunicare nell’unico modo in cui gli è permesso dalla natura della specie. Coliche gassose, difficoltà nell’allattamento, stipsi, rigurgiti/reflussi, problemi di sonno, hanno senz’altro una spiegazione fisica che per noi osteopati è da ricercare nelle membrane di tensione reciproca, soprattutto nella zona del cranio (occipite) e del sacro. Ma permettimi di dire che spesso al trattamento osteopatico puro va aggiunto un discorso relazionale mamma-bebè e famiglia perché altrimenti l’aiuto per questi bimbi è solo parziale.


Ecco perché credo che il mio ruolo con i piccolissimi sia proprio quello di fare da traduttrice del loro “vissuto” emozionale per i neogenitori, spesso confusi e frastornati da informazioni discordanti, molto presi dal “fare” e poco dal “sentire”.


Alle mamme e ai papà che si rivolgono a me spiego che non esiste un modello unico di accudimento del neonato perché non esiste un bimbo uguale all’altro, nemmeno se sono fratelli: ognuno richiede un approccio individualizzato perché ognuno si porta dietro la sua storia che è solo sua.


Quando le giovani famiglie arrivano nel mio studio indago innanzitutto sui particolari della gravidanza e del travaglio di parto, e allora non mi appare più strano trovarmi davanti bambini urlanti perché so che semplicemente stanno riportando quello che hanno vissuto nel nascere. Questo è il motivo per cui nel mio lavoro dò così tanta importanza all’anamnesi della dinamica di parto e mi definisco interprete dei neonati, perché ho la possibilità di leggere, attraverso i loro sintomi e le loro tensioni membranose, la vera natura del loro disagio, facendo comprendere anche a mamma e papà il collegamento tra certe situazioni che NON sono affatto casuali.


E.B.: Mi puoi fare un esempio?


G.G.: Certo! Prendiamo i bambini podalici: dopo una bellissima gravidanza e una bella preparazione al parto all’ultimo momento il bambino si gira e si mette in posizione podalica (rischiando così o un parto complicato e distocico per via naturale o, nella maggior parte dei casi oggi, un taglio cesareo programmato). Hai mai pensato che forse non sia casuale la posizione scelta dal bimbo?


I bambini sanno se le madri sono pronte a partorirli per via naturale; spesso quando si mettono così si stanno sintonizzando con il “vero” desiderio della madre, inconscio, di non affrontare il travaglio di parto. Per questo ci sono mille motivi: magari perché con un precedente figlio qualcosa era andato storto, oppure il mese prima la cognata ha partorito per via naturale ed è andata così male che sia lei che la bimba hanno rischiato la vita e quindi il pensiero non espresso diventa: “perché andarsela a cercare?” O solo perché davvero stanno affiorando delle paure profonde che ancora la madre non è in grado di riconoscere, ma con le quali il bimbo è già intensamente collegato e sceglie la soluzione migliore per sé e per la mamma, perché i bambini, lo sappiamo e Hellinger ce lo ha ricordato, amano i genitori incondizionatamente e farebbero qualsiasi cosa per aiutarli.


E.B.: Quello che mi stai dicendo è veramente affascinante! Hai un caso specifico da riportarmi?


G.G.: Sì, la mamma di una bambina di tre mesi alla seconda seduta di osteopatia (stiamo facendo un lavoro membranoso su una importante asimmetria cranica che se non trova soluzione nell’osteopatia finisce nelle mani del neurochirurgo; questo a volte si limita a prospettare un trattamento palliativo con correttore a “caschetto”, ma altre prospetta l’intervento chirurgico di “apertura” del cranio, soprattutto nei casi di stenosi precoci delle fontanelle) mi riporta che non capisce proprio come mai la bimba non riesca a interagire con nessun altro tranne lei e il papà, non sta nemmeno con i nonni e piange disperatamente appena qualcuno le rivolge la parola. Mentre la madre mi racconta di questa difficoltà io entro in studio con il passeggino, appoggio la bambina sul lettino, non perdo mai per un momento il suo sguardo fino a che mi fa un sorriso e allora comincio a lavorare il sacro. La mamma tra un esempio e l’altro si accorge della situazione e non si capacita di come io abbia fatto e mi chiede se è normale… Allora io le dico che semplicemente la bimba con i genitori si sente al sicuro, come con nessun altro; è molto sensibile e ha bisogno che si entri in relazione con lei con molta delicatezza e forse non tutti la possiedono. “È una fifona – dice la mamma – si spaventa con tutto!” “Esatto – dico io – si spaventa perché non si fida del mondo intorno a lei.” Da chi avrà imparato? Le chiedo allora cosa le è successo alla nascita e anche dopo; come è possibile che sappia che cosa è la non-fiducia. “Ti viene in mente niente?” le domando. Allora la mamma si ferma, riflette, si commuove e mi racconta la storia di quando lei, bambina, per motivi di lavoro dei genitori, venne affidata all’età di un mese di vita alla custodia di una zia, per qualche tempo. Bisognava vedere allora l’espressione nel faccino della bimba che proprio in quel momento era completamente in ascolto del nostro dialogo.


Questo caso è la chiara dimostrazione di come sia la mamma stessa a portare in sé una vecchia ferita, mai rimarginata, di abbandono; alla fine questa giovane signora ha ammesso che senza dubbio lei non lascia volentieri la bimba nelle mani di nessuno e che non si fida tanto degli altri… Forse perché a suo tempo le persone di cui più si fidava al mondo hanno tradito la sua fiducia? E tutto questo magicamente si trasmette da una generazione all’altra e passa inconsciamente nel vissuto dei nostri figli che ci fanno da specchio e ci costringono a guardare le nostre vecchie difficoltà non risolte che in loro si ripresentano.


E.B.: A questo proposito, ho sentito che tu hai messo a punto anche una tecnica che hai chiamato L.U.N.A cioè Luce sulla nascita. Mi puoi dire di cosa si tratta?


G.G.: Questo metodo è una sintesi creativa di apporti di diverse correnti terapeutiche cui si aggiunge il contributo innovativo di B. Hellinger. Il risultato è un approccio che meraviglia per la sua semplicità, essenzialità e forza. Diciamo che ho applicato il sistema di Hellinger alle problematiche della nascita, dei bambini e delle loro famiglie. Quando una situazione non si sblocca con il solo trattamento osteopatico consiglio alle mamme che ne hanno voglia di andare oltre nella ricerca delle cause nascoste di un sintomo o di una difficoltà relazionale, mettendo in scena la situazione problematica e stando a vedere cosa succede. Lo faccio in modo “soft”, con sedute di un’ora e mezza che tengo insieme a una collega floriterapeuta: noi due, con l’aiuto anche di pupazzi, interpretiamo i personaggi della storia familiare che appare ai genitori-spettatori in tutta la sua chiarezza e veridicità. È incredibile notare come dietro tante situazioni difficili che si tramandano da una generazione all’altra ci siano soprattutto lutti non elaborati: aborti e perdite di bambini in tenera età ma anche traumi di nascita non risolti.


Tutto questo per dire che se lavoriamo con i nostri piccoli pazienti solo sul piano fisico e non entriamo in relazione con loro e con i genitori, allora non guardiamo al problema a 360°, non capiremo mai niente… o perlomeno ne avremo sempre una visione molto parziale e limitata.


E.B.: È esattamente quello che penso anch’io… Il lavoro che fai è veramente molto interessante!


Ma ora i nostri lettori vorranno sapere qualcosa anche di più tecnico riguardo all’osteopatia: come funziona innanzitutto e in quali situazioni può essere utile e per quali tipi di disturbi?


G.G.: Nel bambino, e ancor di più nel neonato, le strutture ossee sono ancora molto morbide, anche nei punti in cui l’ossificazione è più sviluppata.


Strutture chiave per l’equilibrio del corpo, come sterno, osso sacro e cranio, sono saldamente collegate tra loro attraverso un sistema membranoso che costituisce il sistema cranio-sacrale.


L’evento-nascita, di per sé meraviglioso, non è esente però dal creare tensioni e problemi a queste membrane, anche perché sono sempre di meno i parti veramente “naturali”, cioè lasciati procedere nella totale fiducia del compimento della fisiologia.


I problemi possono comunque insorgere già a partire dalla gravidanza: uno spazio intrauterino troppo piccolo che provoca malposizioni fetali, un disequilibrio del bacino materno, un gemello che comprime l’altro, contrazioni premature che pongono tensione sulle membrane, presentazioni podaliche, traumi psico-fisici della madre, sono tutti elementi che possono interferire con una buona crescita fetale e causare quelle che noi osteopati chiamiamo “lesioni membranose”.


Figurati poi quanti di questi fattori disturbanti ci sono durante le varie fasi del travaglio di parto!


Se solo riuscissimo a immaginare quanto è meraviglioso, complicato e sincronizzato questo fantastico meccanismo che è la donna e il bambino in travaglio ci renderemmo conto di come basti veramente poco per alterare l’equilibrio fisiologico. Così ciò che era destinato a essere una danza, un’armonica sequenza di movimenti, di rotazioni e di flessioni, diventa una storpiatura forzata…


Pensiamo al taglio cesareo, evenienza sempre più frequente ai giorni nostri, che elimina i rischi di traumatismo meccanico connessi col parto per via naturale, però impone al feto i rischi derivanti dall’anestesia materna e quelli derivanti dalla mancata stimolazione neurologica del neonato. Per esempio impedisce il modellaggio del cranio così importante in un parto fisiologico: l’unico modo per stimolare contemporaneamente le funzioni intracraniche e gli elementi neurologici, e permettere un’attivazione ottimale di tutti i punti di ossificazione intracranici. L’“ingaggiamento” dell’occipite che avviene nel parto naturale è poi fondamentale per il meccanismo cranio-sacrale, sia come starter che come regolatore del ritmo (IRC cioè “impulso ritmico craniale”).


Un cesareo può quindi provocare un deficit e delle lesioni strutturali craniali. Altri fattori di rischio sono l’induzione con gel e/o ossitocina; l’uso di epidurale; parti troppo lunghi (superiori a 18 ore) o troppo brevi (inferiori a 3 ore); manovre ostetriche importanti; sofferenza fetale; giri di cordone attorno al collo.


È vero che la natura da sola è in grado di compensare e “nascondere” tante imperfezioni ma l’osteopata, in questi casi attraverso varie tecniche, esclusivamente manuali, può essere di grande aiuto nel ripristinare l’equilibrio del corpo, andato perduto.


E.B.: Quindi, riassumendo, quali sono le principali indicazioni per la terapia cranio-sacrale nei neonati?


G.G.: Dismorfismi cranici; malposizioni del capo e torcicolli; esiti traumatici da parto (per esempio la frattura della clavicola); neonati che abbiano dovuto subire interventi chirurgici; disturbi di alterazione del sonno; reflusso e/o rigurgito frequente; coliche gassose e/o stitichezza; vomito a getto; difficoltà di suzione (o di deglutizione); irritabilità e pianti continui senza cause apparenti; ematomi; displasia delle anche.


Ma ricordiamoci che anche negli anni successivi ci possono essere indicazioni per il trattamento osteopatico per bambini soggetti a frequenti trattamenti farmacologici e che hanno spesso problemi delle vie aeree (bronchiti, focolai, ecc.); fatti disfunzionali a livello visivo o acustico (strabismo, sordità, …); problemi funzionali di deambulazione (ritardi marcati, assenza o ritardi di alcune tappe, camminata in punta di piedi o altri tipi di anomalie); piede piatto funzionale; dismorfismi del rachide (per esempio la scoliosi); cefalee non patologiche; dolori osteo-mio-fasciali non patologici; problemi specifici apparato ORL; allergie, asma, eczemi e dermatiti; costipazione o diarrea; enuresi notturna; ritardi di crescita; difficoltà scolare non solo di comportamento ma anche di dislessia e disortografia.


Tengo a precisare che le normalizzazioni cranio-sacrali nel bambino non rappresentano una panacea, bensì un aiuto in molte patologie: esse migliorano considerevolmente lo sviluppo del soggetto e divengono un complemento indispensabile nella terapia generale.


E.B.: Senti, per concludere, mi puoi spiegare cosa intendi quando sostieni che “tutti i bambini sono prematuri”? Mi ha molto colpito questa tua affermazione che ti ho sentito fare una volta…


G.G.: Beh, ci sono i bambini che scelgono e prendono la decisione di nascere prima del tempo perché sentono che è salita la pressione, o l’ambiente si è inquinato, non c’è abbastanza cibo o ossigeno e la circolazione è disturbata e perciò è semplicemente meglio andarsene… così è la vita!


Ma il più delle volte è il nostro modo di affrontare il parto che rende tutti i bambini prematuri: nessuno aspetta più la data di nascita che il bambino ha scelto per sé. Mille ansie e preoccupazioni vengono instillate nelle mamme al termine di gravidanza e nella maggior parte dei casi non si ha la pazienza di aspettare il momento giusto: il parto viene indotto con gel o ossitocina scatenando in questo caso contrazioni fortissime, insopportabili. Allora ecco che si interviene con l’uso dell’epidurale: ormai il parto è diventato un atto medico.


Ma ci siamo mai chiesti in tutto questo il bambino dov’è? Lui non era ancora pronto eppure è stato spinto fuori in malo modo. Se l’utero si contrae così fortemente che la mamma non lo sopporta, lo sopporterà forse il bambino che è dentro di lei? E se poi a lei viene dato l’anestetico è come se, energeticamente, per il bambino la mamma non esistesse più e lui si sente solo, abbandonato al suo destino, e gli sembra di morire a ogni contrazione, di non riuscire a farcela senza il sostegno materno che non sente più. Lui per nascere ha bisogno della sua mamma, del suo respiro, della sua voce, dei suoi movimenti, del suo incoraggiamento…


Ecco perché dico che le scelte che vengono fatte nell’accompagnamento di una donna in travaglio di parto hanno delle grandi ripercussioni sul bambino da tutti i punti di vista!


E.B.: Grazie Giovanna per aver condiviso la tua esperienza con me e con i nostri lettori e per l’importante lavoro che svolgi per cercare di attutire le conseguenze dei traumi della nascita!