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Esperienze im-portanti

Ho sempre guardato con ammirazione le donne ecuadoriane che con abilità si mettevano i loro bimbi sulla schiena e, nei primi anni, li portavano ovunque con sé.


Quando è nato mio figlio avevo bisogno di molto contatto con lui, di sentirlo vicino al mio corpo quando uscivamo così come in casa. Portare poi in una città come Catania, ingolfata dal traffico e senza marciapiedi (dal momento che sono occupati dalle macchine in sosta), diventa, più che una scelta ideologica, una questione di sopravvivenza e praticità.


Il mio primo bambino non è stato portato con sistematicità, sebbene spesso. Non disponevo, o non avevo cercato/trovato, degli strumenti adatti. Il marsupio nei primi mesi, lo zaino in telaio metallico per portare dietro, il seggiolino nella bicicletta, alcune stoffe prestate (una fascia base africana e la fascia sul fianco con l’anello) per un viaggio di circa due mesi sulle Ande ecuadoriane quando Andrea aveva quasi due anni. E proprio dopo questo viaggio ho finalmente capito che per portare ci vogliono degli strumenti adeguati, che distribuiscano meglio il peso del bambino sul genitore. Il rischio è quello di rinunciare, di negarsi delle possibilità, di individuare questioni oggettive che impediscono di coltivare i propri desideri e bisogni.


A un convegno a Catania nel 2003 scopro l’esistenza della fascia lunga… Sentii che era lo strumento giusto per me e le mie esigenze. Quando mia figlia stava per nascere avevo preso contatti per imparare a usarla, e ho così avuto modo di utilizzare la fascia lunga poco dopo la sua nascita.


Non è stato facile familiarizzare con una fascia di circa 5 metri, tirare gli orli il giusto per una buona posizione, superare la paura che la bimba non respirasse così a stretto contatto con il mio corpo, costruire con la fascia una relazione di intimità e familiarità, ignorare gli inviti degli altri a posarla nella culla per evitare “brutte abitudini” e per “farla stare più comoda nel suo lettino”.


Mia figlia adesso ha più di due anni e la porto solo occasionalmente, quando serve, quando lei ne ha voglia.


Parte della relazione di crescita reciproca è stato anche l’ascolto delle sue esigenze, che ha portato a una diminuzione progressiva del portare man mano che lei conquistava i suoi spazi di autonomia.


Del portare con la fascia lunga ricordo le sensazioni di forza, sicurezza, bellezza, tranquillità che mi trasmetteva il contatto stretto e comodo con la mia bambina. Ricordo le lunghe passeggiate, i viaggi in aereo, la libertà di poter lavorare con lei addosso e di uscire con facilità anche sotto la pioggia, la relazione speciale che si creava tra noi e tra noi e il mondo. Così come ho ben presente il sudore, l’ingombro della fascia nel momento in cui la bimba voleva scendere, i momenti di stanchezza e di scomodità quando la fascia non era legata bene.


Credo sia stata per me un’esperienza fondamentale che mi ha rafforzata, una fonte di crescita, di conoscenza dei bisogni dei bambini appena nati oltre che di scoperta di altre possibilità del mio corpo.


Tiziana