Perché parlare ancora di svezzamento?

Il termine svezzamento ha il significato letterale di “togliere un vezzo”, ossia perdere il vizio del latte, abitudine impropriamente considerata dannosa. Il fine dello svezzamento è, in realtà, quello di condurre il bambino verso le abitudini alimentari della famiglia, facendogli sperimentare alimenti, consistenze e sapori nuovi. Rappresenta dunque il passaggio da un’alimentazione esclusivamente lattea ad un’alimentazione caratterizzata dall’introduzione di alimenti solidi, fino ad acquisire gradualmente il modello di dieta familiare.


È una tappa importante per il bambino e per i genitori, una fase di transizione che si estende fino ai 24 mesi. Deve avvenire gradualmente, rispettando le esigenze e i tempi del piccolo che continuerà comunque ad assumere il latte come alimento principale. Ecco perché il termine di “alimentazione complementare” meglio si presta a definire questa fase.


Può sembrare un momento fisiologico e naturale. Da piccoli ci siamo trovati in molti a far finta di dar da mangiare a una bambola o a un peluche, imboccandolo serenamente con il cucchiaino. Ma allora sono davvero necessarie guide e indicazioni?


Sì, l’introduzione di alimenti diversi dal latte non ha esclusivamente la funzione di soddisfare i fabbisogni nutrizionali del bambino; abbiamo spesso infatti una visione miope del ruolo dell’alimentazione, focalizzata sulla crescita in peso e altezza e sulla salute a breve termine. Le prime fasi della vita hanno, in realtà, un’influenza significativa sulla salute dell’adulto.