CAPITOLO VIII

Dalla nascita in poi:
pratiche sanitarie e aspettative socio-culturali

Interventi medici: pro e contro

Maggiori conoscenze scientifiche e maggiori possibilità di indagini diagnostiche hanno contribuito a far diventare meno rischiosi eventi come la gravidanza e il parto, rendendo possibili l’individuazione precoce delle situazioni a rischio, e i conseguenti interventi medici in salvaguardia della salute di mamma e bambino1. Come spesso accade, però, quello che era stato concepito come un aiuto da parte della tecnologia in casi particolari e specifici, è progressivamente diventato una consuetudine, per motivi complessi che esulano dai limiti di questo studio2. Ci riferiamo al ricorso massiccio e indiscriminato a pratiche quali le indagini diagnostiche durante la gravidanza, come ad esempio l’amniocentesi e le ecografie ostetriche3, e a quelle come l’induzione del parto, l’analgesia durante il parto, le episiotomie, il ricorso al parto cesareo, l’impedimento al primo contatto fra madre e neonato, tanto per citare le più importanti.


Addirittura, contro ogni evidenza scientifica, molte madri hanno la percezione che un parto medicalizzato sia più sicuro per la loro salute e per quella del nascituro. Questo è dimostrato dalla quantità esigua di strutture che offrono un’assistenza al parto che promuove la fisiologia, e anche dal basso numero dei parti in casa nel nostro Paese (secondo il Cedap 2008, l’88,4% dei parti è avvenuto in punti nascita pubblici, l’11,4% in istituti privati e solo 0,2% altrove).


In realtà ognuna delle succitate procedure comporta una serie di conseguenze sulla partoriente e sul neonato, che nel migliore dei casi si traducono in esperienze di parto più dolorose e traumatiche del necessario, accompagnate da una più lenta ripresa nel dopo parto, e immancabilmente da un inizio ritardato e/o problematico dell’allattamento.


Si pensi poi all’impatto psicologico di interventi che, lungi dall’aumentare la fiducia della madre nelle proprie capacità, la inducono sempre di più a vivere come patologiche delle situazioni in realtà del tutto fisiologiche, e quindi a considerare normale il ricorso ai farmaci o all’intervento operativo durante il parto. L’effetto è del tipo “gatto che si morde la coda”, con l’aumento del ricorso ai farmaci e agli interventi da un lato e dall’altro le mamme che diventano sempre meno assertive: sono convinte di non essere capaci di partorire e si affidano totalmente a un tipo di assistenza medicalizzata, pensando di fare così il bene loro e del bambino.


Queste implicazioni non andrebbero sottovalutate, anzi bisognerebbe tenerne conto ogni volta, effettuando caso per caso un bilancio dei costi e dei benefici dell’intervento. Ma soprattutto occorrerebbe tenere bene a mente che, come afferma la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità, ogni intervento medico porta con sé anche inevitabili effetti collaterali e pertanto andrebbe praticato solo se strettamente necessario. Questo è ancora più vero quando l’intervento in questione va a turbare un evento appartenente alla sfera istintiva ed emozionale come il parto, ove l’ambiente circostante può influenzare in modo impressionante il normale rilascio di ormoni, necessari affinché tutto avvenga secondo la fisiologia4.


Solo un approccio di questo tipo può garantire un’assistenza sanitaria davvero qualificata e basata sull’evidenza scientifica, oltre che a mio avviso moralmente sostenibile.