È un bene che esista un sostituto artificiale per alimentare i lattanti che per qualche motivo non possono
ricevere latte dalle loro madri o da altre donne; difatti per proteggere i genitori e i lattanti, il Codice prevede che questi sostituti siano
disponibili senza però che ne venga in alcun modo promosso l’utilizzo a discapito dell’allattamento. Eppure, da quando sono comparsi i primi latti
artificiali, i produttori hanno fatto di tutto per convincerci, in maniera più o meno evidente, che i loro prodotti erano indispensabili per un numero
molto maggiore di bambini rispetto a quelli che davvero non potevano essere allattati. Lo hanno fatto con investimenti promozionali sempre più
cospicui e mirati, creando un mercato oggi molto fiorente di alimenti per lattanti e bambini piccoli e contribuendo a creare nel corso degli anni
quella “Cultura del biberon” di cui si è parlato nella seconda parte di questo libro. La promozione dei sostituti del latte materno ne ha fatto
crescere a dismisura l’uso negli anni, facendo precipitare i tassi di allattamento a livelli ancora più bassi di quelli attuali, e oggi si sta a
fatica recuperando. Le ditte hanno investito molto denaro per guadagnarsi la complicità, più o meno consapevole, degli operatori sanitari considerati
un canale privilegiato e autorevole per giungere alle madri. Il legame che si è creato è così forte che oggi praticamente quasi ogni congresso o
attività formativa vengono più o meno sovvenzionati dalle compagnie produttrici di sostituti del latte materno.
Il monitoraggio delle violazioni del Codice dimostra che oggi le aziende, seppure con tecniche meno dirette che in passato, continuano a promuovere i loro prodotti e a cercare sempre nuovi modi per farlo. Vediamo come.