SIR KEN ROBINSON
Una delle analisi più convincenti sulle falle dei sistemi scolastici convenzionali si può esaminare facilmente in rete1; porta la firma di
Ken Robinson e sta diventando un manifesto, pur se con interpretazioni diverse, tra chi riflette in modo critico sulla scuola italiana e non solo.
Per qualcuno le considerazioni di Robinson, che qui e altrove sostiene la necessità di un cambiamento strutturale dei paradigmi dell’educazione
attraverso processi di apprendimento che facilitino il pensiero divergente, sono la prova dell’esigenza di uscire dal circuito della scuola tradizionale
facendo scelte educative e di istruzione alternative (scuole libertarie, homeschooling e unschooling); per altri invece sono lo
stimolo contemporaneo a favore di un cambiamento dall’interno del sistema scolastico. Questione di fiducia o sfiducia, ma anche di scelta sui percorsi
istituzionali che si intendono percorrere.
Ken Robinson ha conquistato popolarità a livello internazionale grazie alla sua partecipazione a TED; si stima che 250 milioni di persone in oltre 150
Paesi abbiano visto la sua prima brillantissima presentazione sulla creatività e le altre che ad essa sono seguite.
In Italia forse non molti conoscono il canale di divulgazione di cui stiamo parlando: TED (Technology Entertainment Design) sono conferenze che
si tengono ogni anno in California e, recentemente, ogni due anni in altre città del mondo.
La sua missione è riassunta nella formula “ideas worth spreading” (idee degne di essere diffuse); in linea con questo intento, le migliori
conferenze sono state pubblicate gratuitamente sul sito web del TED2. Gli interventi spaziano in una vasta gamma di argomenti che comprendono
scienza, arte, politica, temi globali, architettura, musica e molto altro. I relatori stessi, tutti di alto prestigio, provengono da molte realtà e
discipline diverse. In Italia Rai5 ha nel suo palinsesto il programma “TED talks” che ripropone alcune delle conferenze realizzate.
Chi è, invece, Sir Ken Robinson? Inglese di Liverpool, nato nel 1950, è un ex professore di educazione artistica presso la University of Warwick. È
considerato oggi uno dei maggiori esperti in campo educativo e lavora con le principali strutture mondiali specializzate nello sviluppo della
creatività. Ha scritto parecchi libri, tra cui Out of Our Minds: Learning to be Creative, ad oggi il suo maggiore successo. Nel 2003 ha
ricevuto il titolo di cavaliere (Sir) dalla regina Elisabetta II per i suoi contributi al mondo dell’arte. Vive attualmente a Los Angeles con la moglie
e due figli.
Nella conferenza citata, nella quale affronta la necessità di cambiare i paradigmi dell’educazione, Robinson parte da una semplice premessa: la scuola
di oggi è una scuola antica, concepita “nel clima culturale e intellettuale dell’Illuminismo e nelle circostanze economiche della prima rivoluzione industriale”. La prova è che le scuole sono ancora organizzate sul modello della linea di produzione, come in una fabbrica. “Ci sono le campanelle, delle strutture separate, gli alunni si specializzano in materie diverse. Educhiamo ancora i bambini per annate: li inseriamo
nel sistema raggruppandoli per età”. La scuola, quindi, è come una catena di montaggio da cui possono uscire solo due tipi di prodotti: gli studiosi e gli svogliati. Si tratta di un
sistema educativo non adatto per l’epoca contemporanea, secondo Robinson, che individua invece una grande opportunità nello sviluppo del “pensiero laterale”, espressione coniata dallo psicologo maltese Edward De Bono, la quale indica una capacità di risolvere i problemi in modo creativo e da diverse
prospettive. Robinson cita l’esempio della graffetta: quanti modi ti vengono in mente per usarne una? “La maggior parte di noi ne trova 10-15. Quelli più bravi ne trovano anche 200. E li trovano facendo domande del tipo: ‘La graffetta potrebbe essere
alta 60 metri e fatta di gommapiuma?’”. La cosa tragica, o splendida se vogliamo, è che i bambini sono più inclini a vedere le cose lateralmente – e quindi a fare più domande e a trovare
più soluzioni – di quanto lo siano gli adulti. Questo non perché la crescita porti per forza di cose a una chiusura mentale, ma perché i luoghi in cui i
bambini crescono, e la scuola in particolare, invece di sviluppare e articolare il loro pensiero, lo standardizzano, qui sta la tragicità. “Il problema cruciale”, sostiene Robinson, “risiede nella cultura delle nostre istituzioni, nel clima che vi si respira e nelle abitudini che hanno consolidato”.
Ogni sistema educativo nel mondo, però, ci ricorda Robinson, è stato riformato o sta per essere riformato. Dovremmo esserne felici ma dobbiamo invece
ammettere che non è abbastanza.
Le riforme non servono più a niente. Perché si limitano a migliorare un sistema fallimentare. Non abbiamo bisogno di una evoluzione del sistema
educativo, ma di una rivoluzione.
Un’affermazione così chiama ciascuno di noi a collocarsi; dove pensiamo sia il nostro posto, riformisti o rivoluzionari?