CAPITOLO X

Fuori dal sistema: le scuole libertarie
e l'educazione parentale

In un certo senso si potrebbe dire, insomma, che l’essere umano non è proprietà di nessuno. Questo è il principio. Non è proprietà né della madre, né del padre, né della scuola, né della fabbrica, né dello Stato; che ha il diritto di vivere una vita felice e che, per nessuna ragione, una società gli può impedire questo.
Mario Lodi, da: Quando la scuola cambia

Sono sempre di più i genitori che, alla domanda che poniamo nel titolo di questo libro, rispondono che un’altra scuola non solo è possibile, ma è necessaria; che necessario è, come diceva Ken Robinson, non un processo di riforma ma una rivoluzione del sistema.

Questi genitori non hanno sempre il tempo o l’intenzione di attendere un cambiamento strutturale del sistema della scuola pubblica e cercano vie fortemente alternative per garantire ai propri figli un percorso educativo e didattico in cui riconoscere i valori, lo stile e le visioni della propria famiglia.


In altri casi nella loro formazione e nella loro visione complessiva sono radicate convinzioni strutturali che vedono nella scuola un’istituzione in cui non è possibile riconoscersi o che addirittura persegue scopi non condivisibili; forte è l’eco, in queste considerazioni, della visione di Ivan Illich nel suo Descolarizzare la società. In questo testo Illich teorizza, come dice il titolo, una descolarizzazione diffusa, ossia lo smantellamento di ogni istituzione, soprattutto statale, che si occupi formalmente di istruzione e di educazione.


Illich distingueva le istituzioni in manipolatorie e conviviali. Se le seconde sono pensate per essere a servizio dell’utente, le prime invece, e tra esse la scuola, vanno ad influenzare la loro utenza, piuttosto che porsi, come sarebbe necessario, al loro servizio; cercano di plasmare le menti e le vite delle persone che in quelle istituzioni entrano, per perseguire interessi “particolari”. Perciò la scuola, nell’opinione di Illich, è al servizio non degli studenti che la frequentano ma di interessi particolaristici (soprattutto economici) e si trova a svolgere funzioni di controllo sociale.


In quanto istituzione che ha espliciti compiti di selezione sociale e di custodia, finisce con l’essere essenzialmente antieducativa e produce una serie di mali quali l’indottrinamento, la competizione, il rispetto delle apparenze e dei rituali. Illich, per questi motivi, propone di sostituire il sistema scolastico con una rete di risorse e di personale educativo, a cui gli individui possano rivolgersi liberamente in relazione ai propri bisogni e interessi. “Il mero possesso di titoli di studio per accedere a qualcosa è una discriminazione e va abolita; la discriminazione dovrebbe avvenire soltanto in base alle capacità e non al pedigree scolastico”1.


Sembra la premessa teorica perfetta per l’avvio di sistemi di istruzione, come le scuole libertarie e l’educazione parentale, che scelgono di uscire dal sistema “istituzionale”.


La Costituzione, del resto, permette di compiere scelte alternative alla frequenza di scuole pubbliche o parificate perché, è bene ricordarlo, l’articolo 34 recita: “L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita”.


Quindi è l’istruzione ad essere obbligatoria, ma non la frequenza di una scuola. Ma soprattutto l’articolo 30 specifica: “È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio”. Risulta quindi chiaro che l’istruzione dei propri figli è in primis una responsabilità dei genitori, non dello Stato, il quale deve vigilare sull’assolvimento dell’obbligo ma non attestare a sé e alle proprie istituzioni l’esclusività in tale funzione.


In questo capitolo vorrei mettere insieme alcune informazioni e riflessioni sulle possibili scelte relative all’istruzione dei bambini e dei ragazzi in obbligo scolastico, considerando i percorsi che si collocano del tutto al di fuori dal circuito della scuola pubblica o di quella parificata (privata ma riconosciuta dallo Stato). Parleremo qui di scuole libertarie o democratiche e poi di istruzione parentale, intesa sia come gruppi di famiglie che con modalità condivise si occupano dell’istruzione dei figli sia come percorsi di apprendimento svolti all’interno del singolo nucleo familiare, entrando nel mondo dell’homeschooling e dell’unschooling.


Anni fa queste esperienze e queste scelte erano praticate da un cerchia davvero ristrettissima di persone, percorsi sconosciuti alla stragrande maggioranza delle famiglie, anche a quelle un po’ “alternative”; ora invece di questo fenomeno si parla sui giornali, si moltiplicano i siti internet e le pubblicazioni cartacee e se qualcuno durante una conversazione ipotizza di non mandare il proprio figlio a scuola non è (quasi) più guardato come un marziano!


Il mio spirito nomade e refrattario alle impalcature troppo rigide, alle strutture piramidali e predefinite sente molto il fascino di un’ipotesi di scuola autogestita da un gruppo di famiglie che condividono un’idea chiara di educazione e di vita, in senso lato. D’altro canto la mia formazione ed esperienza rimangono in parte ancorate all’idea di una scuola pubblica e gratuita che possa offrire a tutti una qualità adeguata di istruzione e di educazione.


Il dilemma è per me, e per molte altre famiglie, ancora aperto.


Credo che i contesti sociali e culturali in cui ciascuno si trova a vivere e crescere i propri figli possano dare una risposta che permetta di orientarsi tra alternative tra loro anche molto differenti e che la possibilità di una scelta sia in sé un valore prezioso.


Proviamo però a entrare in queste esperienze, che qualcuno definisce rivoluzionarie e sovversive ma che, a ben pensarci, non sono altro che la riproposizione di un modello antico che vede i figli cresciuti e avviati alla vita all’interno della propria famiglia o in forme di allargamento di essa definite da affinità sociali, culturali o relazionali.