CAPITOLO V

Educazione interculturale:
un modello educativo oltre la prima accoglienza

Quando tornerai a scuola, guarda bene tutti i tuoi compagni e noterai che sono tutti diversi tra loro, e questa differenza è una bella cosa.
È una buona occasione per l’umanità. Quei bambini vengono da orizzonti diversi, sono capaci di darti cose che tu non hai, come tu puoi dar loro qualcosa che non conoscono.
Il miscuglio è un arricchimento reciproco. Sappi che ogni faccia è un miracolo. È unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Ogni faccia è il simbolo della vita e ogni faccia merita rispetto.”
Tahar Ben Jelloun, 1998

Per più di dieci anni non mi sono occupata quasi di nient’altro.


Arrivando da alcuni anni, i primissimi, di formazione e di esperienza sulla gestione dei conflitti mi è parso ad un tratto evidente, soprattutto lavorando dentro la scuola, che il conflitto che più veniva agito, rappresentato o che, latente, aspettava un nulla per esplodere era quello determinato dalla presenza in classe di alunni migranti e dalla relazione con le loro famiglie e comunità sul territorio. Mi è parso che in questi processi di relazione e di scelte di politica scolastica si giocasse una partita importante sia per la scuola e la sua riflessione interna sia per il futuro delle comunità con cui entravo in relazione.


Una risposta alla domanda iniziale sul mio possibile contributo per orizzonti migliori ha quindi seguito per moltissimo tempo questi percorsi, soprattutto attraverso attività di formazione di insegnanti e mediatori culturali, di consulenza e progettazione con le istituzioni scolastiche di diversi territori. Un decennio che mi ha regalato incontri preziosi, esperienze cariche di umanità e a volte di fatica, abituandomi a una permeabilità culturale che, insieme a molti anni di viaggi sulle strade di Paesi remoti, ha segnato la mia vita ben oltre la sfera lavorativa.


Ma di quali percorsi e di quale contesto stiamo raccontando?


Nell’arco di pochi anni il numero di inserimenti nelle classi di alunni migranti di recente ingresso in Italia è raddoppiato (dal 4,2 % al 8,4% sul numero totale di alunni nell’arco di soli sette anni dall’anno scolastico 2004/5 al 2011/12- fonte MIUR- www.istruzione.it) richiedendo alla scuola uno sforzo a cui è di solito refrattaria, come lo sono tutti o quasi i sistemi complessi: quello di mettere in campo nell’arco di poco tempo un cambiamento di pratiche didattiche, un aggiornamento degli strumenti e dei linguaggi, un allargamento delle prospettive culturali, l’inserimento di buone prassi; un processo di ripensamento, quindi, che ha trovato più di una resistenza.


Molte realtà scolastiche hanno cercato di individuare soluzioni alternative a questa trasformazione, a volte attendendo fino all’ultimo momento per affrontare la questione, altre volte attivandosi ma per cercare risorse esterne alla scuola (i mediatori culturali, in primis) a cui delegare la cura e la prima alfabetizzazione dei bambini non italofoni, altre volte con una selezione drastica dei bambini attraverso bocciature o retrocessioni in classi inferiori a quanto previsto dalla legge.