CAPITOLO VII

A servizio della scuola per una scuola di servizio:
il maestro Mario Lodi

E al maestro di oggi cosa suggerirebbe? “Possedere un cuore, che è un motore potente. E poi attaccarsi al bambino, seguirlo con dedizione, riuscire a scrutarne i talenti nascosti. Senza mai dimenticare che il compito della scuola è trasformare un gregge passivo in un popolo di cittadini pensanti.
Mario Lodi, intervistato da Simonetta Fiori

Quando lo scorso mese di marzo è circolata la notizia della morte di Mario Lodi due pensieri mi hanno subito attraversato la mente: il primo è stato quello di trovarmi incredula davanti alla scomparsa di una figura che da sempre stava sullo sfondo del mio orizzonte, in modo discreto ma costante: era consueto venire in contatto con i suoi articoli sulle riviste di settore, le iniziative per una scuola attenta ad alcuni aspetti educativi (l’uso consapevole della televisione, la conoscenza dei diritti e della costituzione, l’educazione alla pace, per citare tre tematiche a lui molto care), gli interventi in qualche convegno, le pubblicazioni… insomma uno di quei pezzi del tuo panorama che pensi siano lì da sempre e per sempre.


L’altro pensiero, in ovvia sequenza, è stata la consapevolezza di un incontro mancato: da anni rimandavo a momenti migliori la visita alla sua “Casa delle Arti e del Gioco” e in questo scorrere spesso eccessivamente rapido del tempo, quello scambio che avevo messo in cantiere tra i buoni propositi non è mai arrivato.


Ritorno allora oggi con queste pagine ai suoi scritti, ai documenti video delle teche Rai, alle testimonianze di chi ha avuto l’occasione di fare con lui qualche esperienza, perché nel panorama di chi ha vissuto una vita intera spendendosi per una scuola “altra” il nome di Mario Lodi non può mancare. E difatti le esperienze attuali di scuole alternative al sistema scolastico tradizionale (le scuole libertarie, le pratiche di istruzione familiare) usano spesso le sue parole e le sue indicazioni come faro.


Mario Lodi è stato tuttavia prima di tutto un maestro della scuola pubblica, capace di dedicare a questa istituzione tutte le sue competenze e risorse per decenni, riflettendo molto criticamente su ciò che in essa, ora come allora, non corrisponde a una qualità di azione educativa autentica, ma senza mai abbandonare il campo. Fino all’ultimo momento ha avuto a cuore, con una fiducia non comune e un ottimismo illimitato, il ripensamento della scuola su se stessa e le sue possibilità di procedere verso scelte operative di maggior senso pedagogico.


Le sue prime esperienze, in classe con i suoi bambini per trent’anni, dall’immediato dopoguerra fino al 1978, anno del suo pensionamento, risalgono a più di 60 anni fa; eppure ci colpisce quanto le sue parole di allora sembrino raccontare la scuola di oggi:

11 ottobre 1951

Gli alunni sono sovente distratti, non si interessano alle lezioni che preparo scrupolosamente, “dimenticano” di fare firmare ai genitori le osservazioni sul comportamento, “dimenticano” persino di acquistare i quaderni. In compenso tengono in classe una disciplina passiva che mi sgomenta: fermi come statue, coi cervelli inerti, spesso non restituiscono nemmeno il sorriso. Forse hanno paura di me, perché quando voglio conversare con loro nei momenti di ricreazione, esaurite le notiziole superficiali, si chiudono in un gelido silenzio che non riesco a rompere. Indubbiamente per questi ragazzi la scuola è sacrificio; il loro comportamento passivo lo dimostra. Ma qual è la causa? È facile attribuirla alla scarsa volontà e al carattere dei ragazzi; e se fosse altrove, ad esempio nell’organizzazione della scuola stessa? Tanto nella società come nella scuola credo non ci possano essere che due modi di vivere: o la sottomissione a un capo non eletto, oppure un sistema in cui la libertà di ognuno sia rispettata, condizionata solo dalle necessità di tutti. Il paternalismo, nella società degli adulti come nella scuola, non è che una forma insidiosa dell’autoritarismo che concede una finta libertà. Se la scuola non deve soltanto istruire, ma anche e soprattutto educare, formando cioè il cittadino capace di inserirsi nella società col diritto di esporre le proprie idee e col dovere di ascoltare le opinioni degli altri, questa scuola fondata sull’autorità del maestro e la sottomissione dello scolaro non assolve al suo compito perché è staccata dalla vita”.1