Introduzione (2000)

Questo testo vorrebbe offrire, attraverso la vita di Maria Montessori, le sue proposte metodologiche qui in parte descritte e le esperienze concrete circa le varie fasi dello sviluppo, presentate da chi le ha realmente vissute, una panoramica delle possibilità reali di cambiamento, in quel filo continuo che è l’esistenza umana e che una logica di efficienza e di profitto a ogni costo ha settorializzato al massimo.


Il suo titolo è, in certo senso, provocatorio. Già anni addietro ci dicevano: Montessori è un fossile o un’utopia? Un modello irraggiungibile e solo per bambini ricchi o una proposta attuabile anche all’interno delle istituzioni pubbliche e perfino in situazioni di povertà estrema?


Il confronto con quanto è avvenuto nel Nord America negli ultimi trent’anni è irresistibile. Morto il movimento intorno al 1918, rinasce sul finire degli anni ’50: prima una o due scuole dai tre ai dieci anni, poi la formazione dei maestri in Europa, Italia soprattutto, a cura dei due Centri internazionali di Perugia e di Bergamo. Di qui la diffusione a macchia d’olio di scuole private in tutti gli Stati finché, agli inizi degli anni ’80, si smuovono le istituzioni pubbliche, alla ricerca di soluzioni per un sistema scolastico dei più disastrati. È vero che gli Stati Uniti sono vastissimi, ma oggi i Nidi, le Case dei Bambini, le Elementari si contano a migliaia, a centinaia le secondarie, a decine i corsi per i maestri e perfino per amministratori di scuole Montessori. Per non parlare del Canada, del Giappone, dell’Europa stessa.


Parallelamente si sono diffusi corsi americani di formazione e il movimento si è allargato agli Stati “poveri” del Centro e del Sud America, con proposte più che dignitose dalla parte dei bambini e delle loro madri.


E da noi? È la domanda ricorrente di quanti, genitori soprattutto, sono in cerca di proposte alternative a una scuola massificante che non convince e che spesso crea profondi disagi psicologici nei bambini e nelle famiglie. Perché le Case dei Bambini sono diventate così rare e ancor più le elementari Montessori?


Il cammino intrapreso dai molti Nidi di ispirazione montessoriana suscita nei genitori una sensibilità nuova ai bisogni dei loro figli e alle risposte da dare loro, ma è reso vano quando i piccoli passano in scuole materne che somigliano sempre più, tra rotazioni e verifiche, a scuole secondarie.


Perché, chiedono questi genitori in preda allo sconforto, i bambini non vengono ascoltati né rispettati? Perché il modello competitivo rafforzato in mille modi dagli spettacoli sportivi, dalla televisione, dalla vita politica – è l’unico ritenuto valido nella scuola, quando in realtà è diseducativo al massimo – è quello vincente, adottato perfino in molti Nidi, all’opposto della proposta Montessori?


Che cosa impedisce la ricerca di una diversa modalità educativa? Forse il nostro sistema scolastico, fortemente centralizzato, di fatto scoraggia la “libertà d’insegnamento”, oggi assai ridotta, anche perché eventuali alternative di programma o di metodo devono essere approvate dal Collegio dei Docenti o di Interclasse. Non è cresciuto il controllo gerarchico – come in Francia – ma quello tra i pari e, come si sa, i gruppi sono psicologicamente ostili ai cambiamenti, per cui sono rarissime le insegnanti statali (nemmeno dieci, negli ultimi trent’anni) che siano riuscite a far Montessori all’interno di scuole pubbliche, in grande isolamento, viste con sospetto e fastidio come “strane”, “originali”, “privilegiate” perfino dai bidelli.


Educatori e maestri uomini? Pressoché inesistenti.


Quanto a possibili proposte di cambiamento avanzate dai genitori, cadono in genere nel vuoto, proprio perché la struttura scolastica, con la pseudodemocrazia dei Decreti Delegati, non consente di recepirle: ancora una volta il gruppo dei docenti – di classe, in questo caso – assume una funzione difensiva e di opposizione.


Come penetrare questo monolite che è la scuola statale? Innanzitutto, ne vale la pena? Sappiamo che il sistema pubblico è insostituibile. Per quanto imperfetta, in Italia – proprio per il fatto di essere pubblica, laica e dell’obbligo – la scuola media ha compiuto il miracolo di venir davvero frequentata da tutti, ragazzi e ragazze. Da tutte le ragazze, comprese quelle che ne sarebbero state ancora escluse per pregiudizi sociali molto radicati nelle famiglie. E le ragazze, future donne, ci hanno guadagnato per la costruzione della propria dignità, non più sacrificata al maschile, ma aperta alla “scelta” – anziché al destino – del proprio futuro.


Tuttavia questo è accaduto piuttosto velocemente, sacrificando qualità e autonomia pedagogica, andamento oggi non più giustificabile, ma che perdura, nel senso che nella formazione degli insegnanti si è andati e si continua ad andare sempre più verso un apprendimento professionale “produttivistico”, con una scissione netta tra il fare e il pensare, l’osservare e il sentire, senza una riflessione sistematica su di sé e sulla vita di gruppo.


Montessori invece parte da queste competenze per definire educatore un adulto, con capacità che emergono dal concreto o siano, comunque, profondamente radicate in esso. Anni addietro si sosteneva che molto fosse passato di Montessori negli Orientamenti per la Scuola Materna e si è continuato a dirlo a proposito degli ultimi Programmi per la Scuola Elementare. A parte il fatto che i montessoriani esperti non sono mai stati invitati a far parte dei gruppi preliminari di studio, una diluizione di principi generici, comuni del resto a ogni moderna pedagogia, non porta ad alcuna modifica sostanziale.


Siamo alla filosofia del “Gattopardo”: l’importante sembra essere una modernizzazione di superficie per non cambiare minimamente il rapporto di forza tra docente e allievi, perseverando nell’assenza di oggetti significativi da poter esplorare liberamente e nella negazione, di fatto, di ritmi e di interessi individuali.


Non solo non passa Montessori, ma nemmeno le ricerche più attuali di psicologia dello sviluppo intaccano minimamente la struttura massificante della scuola statale. Né le scuole private, i grandi istituti religiosi come le scuole di parrocchia sono diverse. Nel dibattito tra pubblico e privato si gioca sul fatto che questo sarebbe “libero”. Libero, in realtà, di dare una propria impronta ideologica o religiosa, ma quanto a riconoscere spazi di libertà ai bambini e alle loro potenzialità individuali, la scuola privata non si differenzia minimamente da quella pubblica, persino a livello infantile, dove non è richiesto un vero e proprio adeguamento ai fini della parifica e del contributo statale.


D’altro canto le scuole private laiche attive, steineriane, di altre religioni o le stesse montessoriane sono, in confronto alla massa delle scuole cattoliche, così poche e separate tra loro che non vengono nemmeno prese in considerazione, non riescono ad affermare una loro diversità e a dire la loro rispetto al dibattito attuale, quanto meno a esprimere una terza via rispetto ai due blocchi.


In ogni caso Montessori è tagliato fuori. Nel testo si accennerà alle cause ideologiche e politiche di tanto ostracismo, ma la ragione profonda è ben più sottile: la difficoltà di modificare la mentalità degli adulti, da giudici e imprenditori della vita infantile a osservatori e guide delicate delle sue manifestazioni.


Eppure, quando partecipano ai corsi Montessori, i maestri sentono l’autenticità delle proposte, la semplice, raffinata bellezza di tante soluzioni metodologiche, il valore di un ambiente preparato perché ogni bambino e a ogni età abbia la propria libertà esplorativa. Appena cominciano a sperimentare, vengono conquistati dal diffuso fenomeno della normalizzazione individuale senza moralismi né punizioni, dalla nascita di un gruppo a forte coesione e ascolto reciproco, dal senso di responsabilità che ogni bambino, sia pure con tempi diversi, arriva a manifestare. E quando hanno assaggiato la felicità di un rapporto non più violento con i bambini, non tornano più indietro.


È quello che esprime il saggio di Jacqueline Lefrançois, all’interno della scuola pubblica francese, non meno centralizzata della nostra, ma è anche quanto ci dicono le esperienze di Sr. Carolina Gomez, Muriel Dwyer, Alice Renton, Lillian Moncada, persone che, pur operando in situazioni estreme o quasi, hanno realizzato scuole autenticamente Montessori nello spirito, nei rapporti tra gli individui, nella modalità di base non giudicante, nella scelta di materiali costruiti anche alla buona, ma comunque significativi. Dunque veniamo a Montessori qui, in Italia. Sembra esserci un nuovo, larvato interesse intorno a questo nome, ma appare chiaro che il nodo non è tanto nell’attuabilità della proposta, quanto nella formazione degli educatori.


Diciamolo con chiarezza: da tempo essa non si realizza più o lo si fa di rado nelle sue forme più approfondite e complete. Tanto meno ci si può inventare di essere formatori senza esperienze dirette e valide con bambini e ragazzi. (Anche vari master universitari che danno una preparazione teorica non consentono di solito un’adeguata preparazione tecnico-pratica, né come futuri insegnanti e, ancor meno, come formatori).


Ancora una volta l’esperienza estera insegna: il moltiplicarsi di centri di formazione con un forte riscontro sul campo ha certamente favorito l’amplificazione del movimento Montessori. È vero che non tutti i corsi sono di qualità, non tutti sanno realizzare parallelamente il cambiamento individuale del maestro, l’informazione e la preparazione tecnica, indispensabili per il nuovo corso, e tuttavia gli insegnanti sono abituati, assai più che da noi, a condividere e a confrontarsi.


Ad esempio in moltissime scuole americane il gruppo docente è “misto”: maestri formatisi presso centri diversi apportano una ricchezza reciproca delle più interessanti e un notevole clima di collaborazione nelle scuole. Anche in campo pedagogico la politica del monopolio non funziona!


Noi montessoriani in Italia vogliamo continuare ad essere “piccoli e bravi” o lanciarci anche noi nella giungla delle cattive modalità scolastiche per modificarle?


Proprio in quanto montessoriani possiamo e, credo, dobbiamo riscoprire i nostri percorsi originari per conquistare alla causa dei bambini maestri giovani, strade che consentano formazione a livelli diversi, con modalità frazionate: corsi che si svolgano in più estati con stage invernali e un aiuto non giudicante da parte di persone già esperte. Si continua a parlare qua e là di “sperimentazione” a proposito di scuole Montessori, come se questo lavoro non avesse oltre novant’anni di realizzazioni in tutto il mondo e per tutte le fasce d’età.


È urgente superare gli ostacoli burocratici, sempre più pesanti, per tornare a situazioni in cui l’attività pedagogica sia continua fonte di ricerca e di scoperta, evitando soluzioni “furbe” che servono a giustificare un assetto che non si vuole minimamente cambiare. Non ci interessa nemmeno la ripetizione passiva di modelli, bensì l’appassionata riscoperta che viene dalle geniali indicazioni della Montessori, continuamente verificate con i bambini. Per questo dovremmo ostinatamente continuare a illustrare e a dimostrare il valore educativo del rapporto tra ambiente preparato, libera scelta e classi eterogenee, contro il clima meritocratico e le divisioni basate sui voti, per convincere le autorità scolastiche a lasciarci realizzare anche nelle elementari i gruppi di tre età successive e la vicinanza tra bambini piccoli e grandi.


Una soluzione intelligente, consentita dalla legge, potrebbe essere quella – suggerita da Jolanda Amendolia, direttrice didattica statale a Genova – dei moduli in verticale, anziché in orizzontale, ad esempio i 6, 7, 8 anni e i 9, 10, senza separazioni rigide, per non far scuola a comando. E invece: “La pluriclasse: che orrore, roba da Paesi sottosviluppati”, ha detto un altro direttore. Jacqueline Lefrançois, nella quarta parte, testimonia ben altro! Quanto ai materiali, così illuminanti per i bambini – come del resto per gli allievi maestri – si possono acquistare poco per volta. Tanto più che ne basta una serie per un gruppo di trenta, quaranta. E i programmi? Dovremmo adattarli ai bambini – come fa ogni maestro intelligente e sensibile – e non usarli tramite sussidiari, schede e altre trovate del genere, contro la creatività e il gusto di imparare che nei bambini sarebbero naturali se non venissero così spesso soffocati sul nascere.


Ci auguriamo che lo sforzo qui compiuto di riunire tante voci, dati, documenti, esperienze, ricordi, stimoli in qualcuno il desiderio di approfondire, di capire, di imparare di nuovo, fuori dagli schemi consueti, dalle mode, da norme che non condividiamo, per poter dare a ogni bambino una scuola piacevole, appassionante, libera dalla paura.