SECONDA PARTE - L'introduzione di cibi solidi e semisolidi

13. Alimentazione guidata dai bambini
o imposta dagli adulti

di Franco De Luca

Quando nel 1978 cominciai a lavorare nel Consultorio Familiare di Campagnano di Roma, ero un giovane pediatra che si riteneva esperto nel campo dell’alimentazione infantile.


Nella scuola di specializzazione avevo imparato che lo svezzamento era un momento assai delicato nel percorso nutrizionale del bambino, e che richiedeva l’intervento di un esperto per guidare e istruire i genitori, in particolare le mamme, a non commettere errori. L’introduzione dei nuovi alimenti doveva avvenire secondo uno schema prescrittivo assai rigido, sia riguardo all’ordine che alla quantità.


Mi era stato insegnato di introdurre la frutta grattugiata (o meglio ancora sotto forma di omogeneizzato) verso il 3° mese di vita, il primo brodo vegetale al 4° mese e la carne, sempre sotto forma di omogeneizzato, al 5° mese.


Quando avevo studiato questi schemi, mi ero chiesto come venissero alimentati i bambini prima dell’avvento della moderna pediatria e dell’introduzione di questi alimenti industriali, e come avevano fatto le donne nei circa 200.000 anni dell’esistenza della nostra specie sulla Terra a capire quando e con che cosa sostituire progressivamente il latte materno.


È vero che i nostri antenati avevano dovuto spesso confrontarsi con il problema drammatico della scarsità di cibo, per sé e per i propri piccoli, ma proprio quando questo problema, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, era ormai risolto (almeno nei Paesi più ricchi), si scopriva che per i bambini erano necessari cibi speciali e che il momento della loro introduzione, la quantità e la qualità non erano più decisi dalle madri, ma dagli esperti (pediatri, puericultrici, nutrizionisti) e dall’industria alimentare.


A Campagnano, i bambini erano svezzati con i pancotti cucinati con i prodotti stagionali degli orti coltivati dai loro nonni, conditi con l’olio degli oliveti di famiglia, il pecorino locale e la carne, che era quella dei polli e dei conigli caserecci. Era abitudine (che io, confesso, inizialmente censurai) che, quando i grandi mangiavano, si offrissero pezzettini di cibo in bocca o in mano ai bambini che cominciavano a mostrare interesse per i loro cibi e ad essere in grado di afferrarli e portarli alla bocca.


Sempre in quel periodo avevo cominciato a collaborare con il CNM e, quindi, ad approfondire il pensiero di questa grande scienziata dell’educazione (una delle prime donne a laurearsi in medicina in Italia).