Racconta Maria Montessori1: “Il primo fenomeno che richiamò la mia attenzione fu quello di una bambina di forse tre anni, che si esercitava a infilare e sfilare i cilindretti degli incastri solidi, che si maneggiano analogamente ai turaccioli delle bottiglie, che però sono cilindri di grossezza graduata, a ciascuno dei quali spetta un determinato collocamento. Fui sorpresa di vedere una bambina così piccola ripetere più e più volte un esercizio con profondo interesse. Non si palesava nessun progresso di rapidità e di abilità nell’esecuzione: era una specie di moto perpetuo. E io, per abitudine all’esame, cominciai a contare gli esercizi, poi volli provare a qual punto poteva resistere la strana concentrazione che mi si rivelava: e dissi alla maestra di far cantare e muovere tutti gli altri bambini. Ciò che infatti avvenne, senza che la bambina si scomponesse affatto nel suo lavoro. Allora presi delicatamente la poltroncina ove la bimba era seduta e, con essa dentro, misi il tutto sopra un tavolino. Con mossa rapida la piccolina aveva afferrato il suo oggetto e mettendoselo sulle ginocchia, continuò il medesimo lavoro. Da quando avevo cominciato a contare, la bambina aveva ripetuto l’esercizio quarantadue volte. Si fermò come uscendo da un sogno e sorrise come una persona felice: i suoi occhi lucenti, brillavano, guardando tutto attorno. Sembrava che non si fosse accorta nemmeno di tutte quelle manovre che non erano riuscite a disturbarla”.
Una bambinetta di tre anni che ripete quarantadue volte un esercizio senza distrarsi, mentre quello che percepiamo oggi, o crediamo di percepire nei nostri giovani, è una distrazione generalizzata, un’assenza di attenzione e concentrazione. È usuale vedere i figli adolescenti che, mentre dicono di studiare, hanno aperto YouTube sul computer e Instagram sul telefono e nel frattempo chattano con gli amici e saltellano dal libro agli schermi senza apparentemente soffermarsi su niente. Questo balletto è tutta colpa della tecnologia? Sì e no. È vero che buona parte delle applicazioni e dei dispositivi digitali è stata sviluppata per risparmiare tempo, ma in realtà creano nuovi lavori e nuove opportunità per tenerci occupati e consumarne così ancora di più. L’apparente risparmio si limita a soddisfare la necessità della mente di vivere nell’illusione di guadagnare tempo. Paradossalmente non ci rendiamo conto che il vero fine di queste applicazioni è proprio quello di non renderci consapevoli che il tempo sta trascorrendo2. Così passeremo più tempo sulle pubblicità e probabilmente faremo anche qualche acquisto d’impulso, come abbiamo avuto modo di approfondire nel capitolo 4. D’altro canto è sbagliato dare per scontato che la distrazione digitale derivi esclusivamente da influenze esterne anziché da una condizione mentale interna, perché, se si parte da una mente distratta, il trillo del cellulare e il ronzio del Web il soggetto se li poterà dentro, ma non saranno essi la causa della distrazione3.
La curiosità è invece il lato bello della distrazione. Da bambini una delle prime parole che impariamo è “perché” e da lì non smettiamo più di essere curiosi e di chiedere il perché delle cose. La già citata Alison Gopnik4 spiega che i neonati e i bambini piccoli sono pessimi nel non prestare attenzione perché non sono capaci di sbarazzarsi di tutte le cose interessanti che potrebbero significare qualcosa per loro. La curiosità è un istinto innato legato alla sopravvivenza e già i nostri antenati preistorici si distraevano in continuazione per non trascurare nessuna possibile minaccia. Anche il grande genio di Leonardo da Vinci era facile alla distrazione e spesso inconcludente, come dimostrano le migliaia di pagine dei suoi taccuini piene di progetti rimasti sulla carta. Purtroppo scuola e vita tecnologica di frequente spengono questa scintilla. Limitandosi alla matematica scolastica, Paul Lockhart5 arriva a scrivere: “Se io dovessi ideare un meccanismo che abbia lo scopo dichiarato di distruggere la naturale curiosità di un bambino e il suo amore per la realizzazione di forme, non riuscirei mai a fare un lavoro migliore di quello che attualmente viene fatto: non avrei l’immaginazione sufficiente per inventarmi una tale quantità di idee insensate e avvilenti che oggigiorno costituiscono l’insegnamento della matematica”.
Affronteremo qui ciò che ci può servire nel nostro lavoro educativo, partendo dall’importanza della concentrazione per poi passare al principale imputato della sua assenza nell’era tecnologica: il multitasking, ovvero l’allocare la propria attenzione a più compiti contemporanei; un modo di vivere molto comune fra gli adolescenti e, purtroppo, fra troppi adulti che si credono importanti.