Blade Runner è un film di fantascienza del 1982, diretto da Ridley Scott e interpretato, tra gli altri, da
Harrison Ford e Rutger Hauer, ambientato nel novembre 2019 in una Los Angeles distopica, dove replicanti dalle sembianze umane vengono fabbricati e
utilizzati come forza lavoro nelle colonie extraterrestri, dove la polizia si muove su automobili volanti e i negozi vendono animali robot e pezzi
di ricambio per cyborg. Quello che il regista non riesce proprio a immaginare, invece, è un futuro in cui esistono i telefoni cellulari, perché il
protagonista per telefonare è costretto a servirsi di una cabina telefonica. Non riesce nemmeno a immaginare le ora comuni TV a schermo piatto,
perché nell’appartamento abitato da un replicante fa bella mostra di sé un televisore col tubo catodico, uno di quegli scatoloni che molti anni fa
popolavano le nostre case.
Quale genitore non desidera che i suoi figli siano preparati per il futuro? È un desiderio legittimo che si scontra però con varie difficoltà. Il primo problema appare evidente quando ci domandiamo per quale futuro li stiamo preparando, perché qualsiasi risposta molto probabilmente si dimostrerà errata. Il grande guru del management Peter Drucker una volta ha commentato: “Tentare di prevedere il futuro è come cercare di guidare in una strada di campagna, di notte, senza luci e con lo sguardo fisso allo specchietto retrovisore”. Sì, l’unica cosa certa del futuro è che arriverà molto prima e in modo diverso da quanto riusciamo a prevedere. Pensiamo un po’, chi avrebbe immaginato lo smartphone agli inizi del 2000? Teniamo presente che l’iPhone è stato presentato solo a metà 2007. Secondo voi, i progettisti avevano previsto i cambiamenti epocali che questa scatoletta avrebbe generato? Prima della recente pandemia, chi avrebbe intuito i profondi cambiamenti nel mondo del lavoro e nei rapporti sociali? Non parliamo poi dei lavori che non esistevano solo dieci anni fa, come lo YouTuber, il pilota di droni o il social media manager, ma anche di tutti quei lavori che oggi sono spariti, come la dattilografa, il linotipista o il bigliettaio sul tram.
Su tutti questi cambiamenti, poi, aleggia la paura sempre più fondata che verremo rimpiazzati in tutto e per tutto dalle macchine, dalle intelligenze artificiali e dai robot. Come umani dobbiamo allora preoccuparci e disperarci per questa invasione delle macchine? Dobbiamo angosciare i nostri eredi? Per provare a ragionare su un esempio concreto, guardiamo al mondo dei giornalisti e degli scrittori. Senza addentrarci troppo nel futuro, già oggi scrittori robot stanno producendo articoli sugli andamenti di borsa o sui risultati sportivi. Il Washington Post, per esempio, nel 2017 ne ha creati 850 con uno scrittore robot. Se analizziamo questa notizia con un po’ di lucidità, ci renderemo però conto che gli scrittori non verranno sostituiti in blocco. Chi produce della scrittura semplicemente umana rimarrà, perché gli scrittori in carne e ossa sono un amalgama di vita, di esperienze, di cultura e di idee intuitive che mancano a una macchina. Anche i dietologi, per dire, sarà difficile che cedano alle macchine perché uniscono conoscenze facilmente automatizzabili (quante calorie fornisce un piatto di spaghetti alla carbonara lo può ricordare un qualsiasi database), con il rapporto empatico e socratico verso il paziente. Riassumendo, i lavori a prova di futuro sono tali perché mettono in gioco, oltre alle capacità relazionali proprie di noi umani, le nostre abilità uniche nel trovare scorciatoie cognitive, le cosiddette abilità euristiche, che ci permettono di attingere alla nostra esperienza quotidiana per sopravvivere, superare gli ostacoli e per gestire eventi e crisi imprevedibili.
Possiamo quindi stare tranquilli sul futuro lavorativo dei nostri figli? Penso di sì, ma a due condizioni. La prima è che dovranno essere disposti a imparare sempre, a non essere mai soddisfatti – “ora so tutto”, non funziona più – e a tenere d’occhio, senza angoscia, che cosa dicono gli esperti sui lavori del futuro e regolarsi di conseguenza. La seconda condizione è non accontentarsi di puntare a lavori ripetitivi o di semplice manovalanza, ma tendere verso quei lavori che richiedono capacità spiccatamente umane. In rete esistono numerosi siti1,2 e studi3 che classificano i lavori esistenti oggi in base alla minore o maggiore probabilità che vengano automatizzati in futuro. Una risorsa che può ridurre l’ansia per quello che ci riserverà il domani. Se però, nonostante tutto, facciamo prevalere l’incertezza, puntare tutto su un addestramento tecnologico è l’unica maniera che abbiamo per preparare i nostri figli? Penso proprio di no, perché le competenze che saranno loro necessarie sono molto più ampie delle sole abilità tecnologiche.