CAPITOLO 2

Cominciamo da noi adulti

Sto viaggiando sul Frecciarossa da Milano ad Ancona. Dall’altro lato del corridoio c’è una famigliola giovane con due bambini, uno di neanche un anno e l’altro che di anni ne avrà avuti quattro. Il papà è immerso nel suo tablet, magari per un lavoro urgente da sbrigare, non so. La mamma, invece si sta occupando di tutto: dal cibo per i bambini al tenerli impegnati. A un certo punto deve andare in bagno a cambiare il piccolo. Il grande rimane con papà e guarda fuori dal finestrino. Dopo Rimini i binari corrono molto vicini al mare, il bambino è eccitatissimo, chissà, forse l’aveva visto raramente. Da quel momento per lui è stata una scoperta continua che proclama ad alta voce: una barca! Le onde! I sassi grossi nell’acqua! Il massimo dell’entusiasmo lo ha raggiunto quando il treno è passato sopra un fiumiciattolo. Non smetteva di raccontare questa esperienza per lui così strana e il papà niente, solo qualche “Mmm…” senza alzare gli occhi dallo schermo. Anzi, a un certo punto gli ha pure messo lo smartphone in mano per farlo stare zitto. Mi domando: perché?


Quel papà ha sprecato un’occasione molto bella di rapportarsi con suo figlio e gli ha trasmesso l’idea che uno schermo sia più importante e interessante del mare. Non sono però necessarie azioni dirette come questa, perché l’esempio che diamo è già molto potente: “Se mamma e papà sono spersi nello schermo del telefonino, allora è una cosa buona. Se lo fanno loro, lo faccio anch’io”. Non solo ci imitano, imparano dalle nostre azioni e non dai nostri discorsi. Se non cominciamo noi a mettere questi meravigliosi strumenti tecnologici al loro posto, non potremo pretendere che lo facciano loro, soprattutto quando saranno adolescenti. Ancor peggio, se utilizziamo in modo immaturo gli strumenti digitali perdiamo autorevolezza e difficilmente potremo diventare una guida per i nostri figli, almeno in questo campo. A volte credo che, sotto sotto, questi atteggiamenti nascano dalla competizione, dalla paura che abbiamo di essere superati dai nostri figli. Invece dovremmo convincerci che per quel che riguarda la tecnologia ne sanno più di noi e che dobbiamo collaborare invece di lottare per essere primi.


Come in ogni campo, i bambini hanno bisogno che i genitori li aiutino a dare un senso alle loro esperienze, soprattutto nel mondo digitale. Invece, a quanto pare, noi adulti facciamo esattamente l’opposto; la maggior parte delle interazioni familiari con i media digitali riguarda limitazioni, supporto tecnico, o la negoziazione dei tempi d’uso senza mai mettere in discussione il nostro modo di interagire con la tecnologia stessa.


Il primo passo è quindi essere consapevoli di quanto la tecnologia entri nella nostra vita famigliare. Questo non significa eliminarla, ma capire quando e come tenerla sotto controllo. Possiamo cominciare ponendoci alcune domande:


Riusciamo a lasciare il cellulare lontano da tavola durante i pasti?


Riusciamo a controllare posta e social solo quando non ci sono i figli attorno?


Lasciamo il lavoro in ufficio per quanto possibile? Niente mail di lavoro quando siamo in famiglia?


A casa la televisione, o gli schermi in genere, hanno i loro momenti oppure invadono tutta la giornata?


Quando andiamo al parco giochi con i figli piccoli, sappiamo mettere in pausa le telefonate per ascoltare cosa ci vogliono riferire dei loro divertimenti e delle loro attività?


Essere d’esempio è un discorso ben più ampio del solo insegnare a rapportarsi in maniera sana con la tecnologia, come ci fa intravvedere la poetessa Maya Angelou: “Ho imparato che le persone possono dimenticare ciò che hai detto, le persone possono dimenticare ciò che hai fatto, ma le persone non dimenticheranno mai come le hai fatte sentire”. Un bambino che si sente amato e ascoltato imparerà molto di più rispetto a una predica teorica di un genitore distratto da uno schermo.