sorsi letterari
Gherardo Fabretti

Da nord a sud della Penisola, le pagine degli scrittori italiani fotografano il mondo della viticoltura, elevandola a metafora della vita e della storia.

“Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti.” In un momento storico in cui la terra è la fonte del potere, e chi la coltiva regge l’intera società, non stupisce che il primo testo in lingua italiana riguardi proprio un pezzo di suolo. A Capua, nel marzo del 960, contro le pretese di Rodelgrimo d’Aquino, davanti al giudice Arechisi, il diacono Teodemondo e i chierici Mari e Gariperto giurano che il monastero di Montecassino è il vero possessore del fondo oggetto della disputa. Non sappiamo se quelle terre fossero adibite a vigneto, ma l’ipotesi non appare tanto peregrina: il vino, indispensabile per le funzioni liturgiche, proveniva spesso da proprietà clericali. Ci troviamo a Capua, terra di ozi, come racconta Tito Livio, e di vigneti. Lo testimonia il cognome di un letterato d’eccezione, quel Pier della Vigna nato giusto nella città campana e che il destino giocherellone ha voluto far morire prigioniero in altra enoica terra, a San Gimignano, forse suicida, di certo per questo tramutato nell’Inferno di Dante Alighieri in un tronco di pruno i cui rami, così “nodosi e ’nvolti”, ricordano molto un alberello di vite. 

Cenni, tracce in absentia di una pianta già assai amata, comparsa negli incunaboli di lì a poco: se nel XIII secolo Albertano da Brescia e il più noto bolognese Pier de’ Crescenzi parlano ancora in latino della vigna, è proprio Dante a mutare per primo la latina vinea nell’italiana vigna, ad esempio quando depreca l’abitudine allo sperpero della gente di Siena, come Caccianemico degli Scialenghi, capace di vendere persino “la vigna e la gran fonda” di casa sua, nella ricca Asciano delle crete senesi, per pagare i propri sfizi. Con un solo verso, il vigneto esordisce nella storia della letteratura italiana, spiccando rispetto al generico fondo, il terreno destinato all’aratura, e dichiarando il proprio luogo d’origine.