La Tintilia, attraverso la sua splendida ruvidezza, mette in mostra un’esuberanza fedele allo spirito del Molise. Chiusa come il carattere dei molisani, è una vera forza della natura, quasi avesse assorbito la potenza degli avi Sanniti che qui abitarono nell’antichità.
La sua storia ampelografica non ha avuto un percorso facile e lineare, a cominciare dall’indagine sull’identità che per lungo tempo l’ha maldestramente abbinata al bovale sardo e al bovale grande. L’etimologia del nome, dall’iberico tinto (rosso) per il suo potere colorante, data la ricchezza in antociani, ne rivelerebbe una caliente origine spagnola.
Se la data di nascita è molto incerta, si conosce invece il periodo di arrivo in questa regione. In un manoscritto datato al 1810 l’agronomo Raffaele Pepe di Civitacampomarano (fratello del patriota Gabriele Pepe) chiedeva al Ministro per gli affari agricoli del Regno di Napoli, di cui il Molise faceva parte, l’invio di vitigni di altri territori per migliorare la viticoltura locale; dal momento che le varietà presenti, miscelate senza criterio, producevano un vino pallidamente cerasuolo e deboluccio nella struttura, occorreva qualcosa che apportasse corpo e colore.