Barack Obama ha vinto le presidenziali del 2008 facendo echeggiare le fatidiche parole “Yes, we can”. Se con quel motto, impregnato di semplicità, Obama mirava a catturare non solo l’attenzione dei giovani, ma anche la loro mobilitazione a sostegno della sua vittoria, il can del vino è ancora accerchiato da aloni di incertezza.
Abbinato alla parola can, il vino in lattina sembra avviarsi a vincere la resistenza dei consumatori americani e a diventare un cult-drink. Giocando sull’ambivalenza del termine can, che indica sia il verbo “potere” sia “lattina”, il battage pubblicitario con un gioco di parole lasciava intendere: “in lattina si può”.
Il primo tentativo di “lattinizzazione” (si perdoni il neologismo) risalirebbe addirittura a Napoleone Bonaparte, che cercava di procurare cibo salubre per il suo esercito, perché un esercito ben nutrito combatte a mente fredda, con risultati molto più efficaci.
Per rintracciare esempi di liquidi, peraltro non alcolici, confezionati in ciò che oggi è la lattina (can) bisogna indietreggiare al 1930 o
giù di lì, quando gli States erano in pieno Proibizionismo. La bevanda che aprì la strada alla lattina fu la soda, sebbene i pericoli di qualche
reazione chimica con il metallo non fossero del tutto superati; si temevano l’alta acidità del soft-drink e la pressione carbonica.