turisti o cercatori d'olio?
Luigi Caricato

Alla stessa stregua di quanto accade per il turismo enogastronomico, impostato sulla centralità dei valori culturali ed esperienziali, anche per il turismo olivicolo e oleario si auspica un approccio più meditato e profondo, orientato alla scoperta delle peculiarità territoriali e alla conoscenza delle dinamiche produttive.

Confesso che la parola turismo abbinata all’olio di per non mi ha mai convinto del tutto, anche se l’idea in se stessa mi tenta moltissimo e mi affascina. Credo fortemente nel valore economico, culturale e sociale espresso dal turismo, ma ritengo che relegare alla sola voce turismo quella grande complessità che è il cibo, e nel caso specifico l’olio, sia per certi versi inibente, fino a costituire perfino una insidiosa trappola da cui non sarà facile uscirne indenni, se non si è professionalmente preparati e non si investe il danaro necessario per raggiungere gli obiettivi. Le stesse risorse umane sono molto importanti, perché devono essere idonee e adatte a supportare un progetto di turismo personalizzato, concepito per essere pensato su misura. Dal momento che finora il mondo dell’olio non si è mai confrontato con le dinamiche del turismo - e non lo ha mai fatto in modo originale, esclusivo e coordinato - ritengo sia meglio evitare, fin quando possibile, le gabbie concettuali che spingono verso una idea di turismo standard e, in quanto tale, inapplicabile poiché non coincidente con la specifica natura del prodotto, l’olio extra vergine di oliva, e con la rappresentazione dei luoghi e degli scenari produttivi, dall’oliveto al frantoio, fino al momento unico e di grande centralità dell’assaggio dell’olio in purezza e dell’olio da sperimentare sul cibo, individuando così abbinamenti e criteri di utilizzo.