crocus e delizia
Morello Pecchioli

La suadenza cromatica dello zafferano ha ammaliato ricchi e potenti di ogni epoca simboleggiando luce e regalità, lusso e preziosità, diventando in seguito ingrediente esclusivo nelle ricette di grandi chef e celebri gastronomi.

Sanremo, 29 gennaio 1954. È il festival della lacrima e del sorriso. La lacrima è inevitabile: la canzone vincitrice, Tutte le mamme, risveglia la mammite acuta, latente in ogni italiano. Il sorriso lo strappano una bella signora in lungo e ampio abito primaverile e tre allegroni in smoking: il Quartetto Cetra. Lucia Mannucci, “Tata” Giacobetti, Felice Chiusano e Virgilio Savona ondeggiano in fila indiana sul palco del Salone delle feste del Casinò, gorgheggiando un curioso motivetto dal sapore risorgimentale: “Aveva un bavero color zafferano / e la marsina color ciclamino / veniva a piedi da Lodi a Milano / per incontrare la bella Gigogin”. Si può non sorridere pensando a questo strampalato giovinotto che si fa 33 chilometri a piedi (senza contare il ritorno) indossando uno sgargiante frac che lo fa parere un Crocus sativus, il fiore dello zafferano? Si sorride e si tifa per lui: con tutta quella fatica merita di essere coperto di baci dalla bella Gigogin.


Orecchiabile, Aveva un bavero entra subito nei neuroni italici: il giorno dopo Sanremo la Penisola è inondata di lacrime (“E gli anni passano i bimbi crescono / le mamme imbiancano / Ma non sfiorirà la loro beltà...”) e di giallo zafferano. L’idea del bavero color stimmi-di-croco a metà di quegli anni Cinquanta, quando l’Italia si stava preparando al boom economico, ma non era ancora pronta alla rivoluzione dei costumi, era decisamente stravagante anche se l’aureo pigmento aveva alle spalle millenni di mito, storia, letteratura e anche moda. Fin dalle epoche più remote lo zafferano è stato simbolo di luce e regalità, eleganza, lusso e preziosità. Era il colore preferito nel guardaroba delle dee dell’Olimpo. Giunone lo aveva voluto nel talamo che divideva con Giove, il padre di tutti i numi. Venere, la dea della bellezza, sfoggiava pepli e tuniche sempre alla moda, rigorosamente giallo zafferano. Anche Minerva, l’intellettuale, non disdegnava il bene effimero della regalità. Alcune importanti cerimonie nella Roma antica pretendevano l’aureo colore. Il giorno delle nozze la sposina romana indossava la palla (mantello) e le calcidae (sandali) color zafferano.